Monti Prama, l’archeologia e il dramma della non conoscenza

Dall’esponente di iRS Simone Maulu, riceviamo e pubblichiamo.

Da un po’ di tempo non si leggono altro che polemiche e scontri su Monti Prama, un caso tutto particolare che è passato da anni di silenzio negli scantinati del museo di Cagliari ad essere sulla bocca di tutti. Forse di troppi. Quasi come se non esistesse altro.

La cosa strana è che in Sardegna, chiunque a prescindere dalle proprie competenze, sembra possa parlare di archeologia, di come si effettua uno scavo, di come si restaurano i reperti e di come si fanno gli studi scientifici. Tutti in tema di archeologia sanno tutto. Il primo che si sveglia si sente alla pari del più grande archeologo. Come se io domani mattina mi svegliassi, andassi da un cardiologo e gli dicessi come effettuare un operazione a cuore aperto. E’ da tempo che mi chiedo come mai avviene questo? Come mai la soprintendenza archeologica e i suoi rappresentanti sono così poco autorevoli nell’immaginario collettivo?

Da poco ho visitato il sito archeologico di Tamuli a Macomer, stavo chiacchierando con una guida del fatto che il nuraghe non fosse accessibile e ad un certo punto mi dice: “noi sardi non valorizziamo la nostra storia” e io le rispondo “ha perfettamente ragione, ma d’altronde come si fa a valorizzare ciò che non si conosce?”. Ed è su questo che dovremo iniziare a riflettere. Perché in Sardegna non studiamo la nostra storia? La civiltà nuragica, tutto il periodo giudicale?

Immagino uno studente che fin da piccolo vedendo i Nuraghi si appassiona della storia della Sardegna e vuole studiarla ma alla scuola elementare non gliela insegnano e pensa la studierò alle medie, ma nemmeno alle medie gliela insegnano e neanche alle superiori. Se vuole imparala potrà farlo all’università. La prima domanda che fa a se stesso è “come mai ci nascondono la nostra storia?” e da questo momento in poi inizieranno a nascere in lui una marea di dubbi che in molti casi partoriscono una marea di fanta-archeologi e di persone che si convincono che per effettuare uno scavo archeologico basta una paletta.

Io non so se in Sardegna il motivo per il quale non si studia la nostra storia sia che qualcuno ha deciso di nasconderla. Probabilmente non è così, ma nel momento in cui non c’è una spiegazione plausibile posso essere legittimato a pensarlo. Vero o non vero. E sono anche legittimato a dare la colpa di tutto ciò a chi ha le competenze e non si è mai battuto apertamente affinchè anche i Sardi come qualsiasi altro popolo al mondo abbiano il diritto di studiare la propria storia.

Sicuro è che se noi studiassimo la nostra storia fin da piccoli, come è giusto che sia, probabilmente saremo più formati e più coscienti di ciò che eravamo e del patrimonio che abbiamo. E magari inizieremo a capire come poter realmente valorizzarlo.

Perché ricordiamoci che è la scuola che forma la futura classe dirigente. Oggi uno dei drammi che affligge l’archeologia è che non ci sono finanziamenti per gli scavi. Io non credo che il problema sia la carenza di soldi. Il problema credo sia la totale e reale mancanza di conoscenza da parte della classe politica rispetto al patrimonio archeologico, storico e culturale che abbiamo. Diversamente non si spiega.

E credo che la soprintendenza archeologica e i suoi rappresentanti debbano essere più dialoganti, più aperti alla discussione. Lo scontro perenne non porta a nulla. E se oggi esistono realtà organizzate di fanta-archeologi (che comunicano molto più di quelli ufficiali) la soprintendenza e l’università farebbero bene a porsi delle domande sul perché queste realtà esistono, comunicano e prendono piede.

Oggi non esistono spot video ufficiali su tutti i principali siti archeologici della Sardegna. Quando un turista arriva sull’isola non esistono indicazioni chiare su come poterli raggiungere. Da poco sono stato al museo archeologico di Cagliari e mi è venuta una profonda tristezza nel vedere un inestimabile patrimonio in delle teche polverose che più che esposto dava l’impressione di essere semi abbandonato. Le indicazioni presenti solo in italiano, solo in alcuni punti erano scritte anche in inglese. In alcuni reperti l’indicazione era scritta a penna in un foglietto a fianco al reperto. Se andiamo a vedere il sito web del complesso di Santu Antine è scritto solo in italiano. Impensabile.

Sicuramente se iniziassimo a studiare la nostra storia fin dalla scuola elementare cresceremo molto più coscienti, più formati e sicuramente in grado di distinguere chi dice fesserie da chi dice cose serie. Chi specula sulle ruspe per farsi pubblicità. Questa credo sia la battaglia principale che dobbiamo portare avanti tutti insieme. Oppure dobbiamo aspettare che ce la racconti Voyager con Roberto Giacobbo?

Simone Maulu
iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna

 

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