L’Ost di “Sardegna possibile” e la possibilità di una nuova politica

Domenica 11 novembre si è svolto ad Arborea il secondo OST di Sardegna possibile, dedicato all’economia del cibo. Io ho partecipato al primo, a Nurachi, sui temi delle politiche culturali. In entrambi i casi si è osservata una grande partecipazione. Ho partecipato come semplice facilitatore dei gruppi di discussione, mosso anche dalla curiosità per questo evento.

Di che cosa si tratta? Noi sociologi, e chi lavora con “tecniche partecipative”, diamo per scontato che si sappia, ma forse è il caso di spiegarlo meglio, in poche parole. Si tratta di una discussione organizzata. La gente che vuole discutere di politiche culturali o, ieri, di politiche del cibo, non arriva in un posto in cui i temi siano già definiti, ma si trova di fronte a delle persone arrivate come lei o lui all’evento, e che propongono liberamente i temi. Rispetto ai “tavoli tematici” di eventi tradizionali, qui i temi sono imposti da chi arriva. Lo staff di Sardegna Possibile, gli attivisti, i militanti, i politici, stanno zitti e prendono appunti. La loro unica funzione è quella di facilitare le discussioni, bloccare i logorroici, dare la parola ai timidi. Il che, per i politici, è un bagno di umiltà necessario in questo momento.

I partecipanti sono liberi di dire e proporre quello che vogliono, e di andare nel gruppo che vogliono, e anche di cambiarli (nel corso della giornata le sessioni sono più di una). Al termine della sessione, i facilitatori scrivono un breve rapporto in cui si raccolgono i temi, le idee, le discussioni, le proposte registrate in ogni gruppo. Non è infatti necessario trovarsi d’accordo, nei gruppi. Ogni idea è importante, e tutte sfociano in un Rapporto finale che ogni partecipante riceve nella propria casella di posta elettronica. Soprattutto, al di là del tema generale, i vari temi sono stati decisi dagli stessi partecipanti.

Sinora l’esperienza è stata ricca, le idee raccolte raccontano diversi punti di vista che arrivano da operatori, utenti, semplici cittadini. Quello che colpisce è la voglia e la capacità di partecipare -come se da sempre i cittadini fossero pronti a esperienze simili – e la normalità dell’inversione dei luoghi e dei ruoli. Nessuna nostalgia per il palco dal quale si spiega e si interpreta, nessuna nostalgia per essere solo un pubblico, in genere muto. Sotto questo aspetto, un vero successo.

Come per tanti eventi democratici, un OST richiede una grande organizzazione, e tanta collaborazione. E’ insomma una cosa molto più impegnativa del convegno o del tavolo tematico tradizionale, in cui il pubblico è rappresentato da qualche “testimonianza” recitata sul palco da partecipanti “esemplari”, o al limite costretto a ripartirsi per temi già fissati dagli organizzatori, come alla Leopolda. L’OST è il regno dei cittadini ordinari, non è una scuola di futuri leaderini. E si tratta di una scuola di formazione politica molto più seria di tante altre, in quanto costringe gli attivisti e i militanti ad acquisire capacità di ascolto, a lavorare concretamente per trasmettere le idee e le proposte dei partecipanti ad altri fasi di elaborazione, discussione e analisi. A relativizzare la loro posizione. Speriamo che se ne ricordino.

Sinora, in Sardegna incontri come questi sono state riservati a esperienze amministrative o interni ai partiti. In molti casi, la partecipazione ha assunto forme didattiche, da vecchio Pci. C’era un tavolo di personaggi scelti dall’alto che spiegavano la linea, e ai partecipanti era impartita una bella lezione, anche in forma di domande e risposte. Si tratta dunque di un passaggio importante nel modo di fare politica che si oppone a modelli più dirigisti e che, visto il successo, corrisponde a un’esigenza sentita dai partecipanti, stufi di essere un pubblico passivo ma anche di partecipare a bailammi in rete o anche di fronte a qualche assessore al traffico.

Il problema di tutte queste forme di partecipazione è lo sbocco politico. Al di là dei percorsi individuali, cioè al fatto che per molti partecipanti possono cominciare così qualche forma di impegno politico diretto, che fine faranno tutte queste idee? Ovviamente, non tutte arriveranno al programma politico, ma tutto è ideato perché questo flusso trovi sbocco nel programma politico. Le idee sono infatti raccolte, suddivise, e analizzate, sin dai giorni successivi. E l’intenzione di Sardegna Possibile sembra proprio seria, rispetto alle idee sorte da questi confronti. Per questa coalizione di innocenti, rispetto ai gravi errori della politica tradizionale, si tratta infatti di una linfa preziosa e sarebbe folle da parte loro metterla da parte.

L’idea della Murgia e della sua coalizione si scontra con le pratiche dei partiti tradizionali, italiani e sardi, e con la loro ansia di restringere tutto ai tavoli formati da qualche esponente politico o aspirante tale, ma anche con la disordinata esperienza grillina, in cui a un formalmente enorme spazio di discussione e di deliberazione corrisponde la decisione autocratica del leader, peraltro non certo interessato ai problemi sardi, se non in forme folkloristiche. Comunque vada, sarà un passo avanti non da poco per la realizzazione di una vera democrazia in Sardegna che, a ben pensarci, non c’è ancora stata se non in forme cerimoniali.

Sarebbe opportuno che i militanti e gli elettori delusi degli involucri partitocratici che hanno preso la politica sarda in ostaggio partecipino, senza timore, a questa esperienza di grande apertura a cui, va detto, si può partecipare anche se i romanzi di Michela Murgia non ci sono piaciuti o se non si è elettori della sua coalizione.

Alessandro Mongili

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