L’INTERVENTO. La maledizione del trenta per cento (Di Gian Valerio Sanna)

Il superamento della fatidica soglia del trenta per cento rappresenta sempre più la “maledizione” del PD rispetto alla sua ambizione di governare il Paese e non solo.

La “maledizione” può risultare senz’altro l’effetto di una cattiva analisi politica o più spesso la conseguenza di comportamenti sbagliati dei gruppi dirigenti a tutti i livelli.

E’ necessario prima di tutto sgombrare il campo da un possibile equivoco: in politica ci si sta se si aspira all’orizzonte di governare e realizzare compiutamente un proprio progetto per la comunità e non facendo finta che ci sia sempre da qualche parte una “conventio ad escludendum” che renderebbe per qualcuno la partecipazione ad una coalizione una semplice testimonianza. Da sempre infatti non si governa alleandosi con le testimonianze!

Detto questo è necessario indagare per comprendere perché guardando sempre e solo a sinistra il consenso alle coalizioni riformiste non cresce più e se pure in certi momenti statistici sembra che esso voli largamente oltre il trenta per cento poi, si arena al dato fisiologico che rappresenta oramai, la soglia che ci separa dal poter attuare pienamente un nostro programma di governo.
A questo dato concorrono sicuramente molti fattori. Fra questi il primo e quello di considerare le primarie come un sistema che determina soluzioni evitando alla politica di svolgere dei ragionamenti ed affrontare le necessarie analisi di contesto e di indagare acutamente sui valori che i leader devono avere non solo per vincere ma anche e soprattutto per durare. Le primarie vanno bene, nessuno le vuole contestare ma non possono rappresentare un bypass al confronto politico ne un modo di evocare in un leader assai di più il suo apparire piuttosto che le sue virtù.

Alla lunga si è visto tuttavia che un forte apparire non fa il paio con le capacità operative, con il saper fare squadra, con il saper conciliare il ruolo apicale con la indispensabile coesione politica che è necessaria negli organi collegiali per vincere e governare al punto che osserviamo ancora oggi pretese di candidatura a premierato persino contro il comune sentire del proprio partito, tanto poi ci saranno le primarie e se capita che ci si divide, si potrà sempre avere la meglio.

Altro aspetto è il programma. Il cuore di ogni programma riformista e di progresso non può che essere rappresentato dall’equità e dal perseguimento a tutti i livelli del massimo della giustizia sociale. Giustizia sociale vuol dire prima di tutto essere giusti, equilibrati, meritocratici e lungimiranti e tutto questo prima ancora di annunciarlo bisognerebbe praticarlo al proprio interno e poi testimoniarlo in ogni sede e in ogni circostanza. Basterebbe ricordare qui le “regole” delle primarie del PD per le ultime elezioni politiche e si capirebbe l’ipocrisia e quanta poca credibilità ci hanno consegnato queste decisioni rispetto all’ambizione di essere all’altezza della situazione per governare la cosa di tutti.

Infine bisognerà parlare anche di scelte di campo. Al di là dei soliti sognatori e velleitari che pullulano nel centro sinistra per una rappresentazione “purista” della nostra cultura politica credo sia un errore non considerare attentamente la cultura ed il pensiero prevalente della società che oggi siamo chiamati ad interpretare. Una società sofferente ed in grande difficoltà in generale non ha tempo da dedicare all’ascolto di estremismi o di ideologie di antica memoria. Essa mira a risultati concreti, immediati, non sempre esorbitanti ma necessari. Parlare con questa società significa “colorare” un po’ meno i progetti politici e far crescere maggiormente la possibilità di concretizzarli, di renderli credibili con alleanze e uomini capaci e sperimentati.

In politica bisogna odiarsi di meno fra schieramenti e competere di più sulle idee e su i valori che ispirano e spiegano le idee e le scelte di chi governa. A sinistra il bidone è oramai raschiato al fondo e la soglia fatidica del trenta per cento si supera guardando anche ad un altro tipo di elettorato non sempre idealmente comodo per una certa sinistra (vedi chi ha votato il movimento cinque stelle) ma necessario a costruire il progetto del PD che è stato ed è prima di tutto il progetto di incontro di due grandi idee culturali e politiche del ventesimo secolo. Nonostante la continua evocazione della ricchezza che rappresenterebbe il dialogo fra cattolicesimo democratico e socialismo progressista, non si è mai realizzata la costruzione di una cultura politica comune e dunque il progetto non si è ancora compiuto. Non sarà forse che quella soglia del trenta per cento rappresenta il limite virtuale di una incompiuta culturale generata da egemonie senza storia e senza più prospettive?

Insomma, il futuro si costruisce quasi sempre partendo dal presente ma è molto facile ostruirlo con il passato.
Gian Valerio Sanna

 

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