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La sinistra sarda non si rassegni alle oligarchie. E’ possibile una nuova strada

Tra rinnovate amarezze e nuove speranze. La questione è se gli uomini e le donne di sinistra in Sardegna debbano rassegnarsi a non avere una rappresentanza politica adeguata alle loro aspirazioni. Se ancora debbano rassegnarsi a dover costringere sensibilità e intelligenza delle cose sotto l’insegna del meno peggio che non cessa per questo di essere un peggio, brandendo come ultima risorsa una trasformazione del Pd dall’interno e di fatto rassegnandosi a sostenere, malgrado loro stessi, con il loro voto e il rispettabile orgoglio di un posto a sedere nella tribuna dei dissidenti, una oligarchia politica che oramai non ha altro fine se non quello di autotutelarsi. In verità solo benevolmente disposta a concedere quel tanto di apertura che serve ad imbrigliare risorse e capacità, a contenere il dissenso, mentre le decisioni si prendono altrove, e sono già state prese quando le questioni vengono presentate nei luoghi deputati a decidere.

Perché quello che accade ed è accaduto a sinistra, a mettere le cose in fila, anche se siamo un po’ propensi a dimenticare, lascia sgomenti: dall’elezione del Presidente della Repubblica al governo delle larghe intese, dal dichiarato governo di servizio al governo di legislatura, alla riforma della costituzione in favore di Berlusconi, ai rimandi della legge elettorale e alla finta abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

E aggiungiamo ciò che accade in Sardegna, con i leader locali a caccia di promozioni e subordinati, secondo la miglior tradizione, a fare da specchio ai leader nazionali, mortificando così ogni possibilità di autonomia e di specifiche politiche per il territorio che individuino e declinino in forme concrete quell’indipendenza che in Sardegna si è resa palesemente condizione di crescita, dal gettito fiscale alle politiche in materia energetica.

Ed è bene richiamare il carattere inconsistente di una opposizione che lascia alla peggiore giunta che la Sardegna abbia mai avuto il completo agio di truffaldini proclami e spot, dalla zona franca alla flotta sarda, all’autodeterminazione. E, per tacere d’altro, il caso ultimo delle trivellazioni ad Arborea, con un netto scollamento tra i vertici del Pd, le popolazioni di quel territorio e finanche la base dello stesso Pd; e ancora la scarsa incisività sulla scuola e la formazione, la sanità, la distruzione del sistema produttivo, il problema dei trasporti, le politiche rurali e agricole, e per finire primarie ingessate e congressi nel prossimo futuro chissà come, la morte dei circoli e la emorragia di iscritti ed elettori.

Eppure, benché il passo sia arduo, gli uomini e le donne della sinistra possono avere il coraggio di rompere quel sistema di tutele e privilegi ed esclusioni, peraltro sempre più disertato dai cittadini nelle forme dell’astensionismo, un sistema che brucia ingenti risorse e impoverisce i territori e le persone. Possono ribellarsi all’isolamento della marginalità e della rinuncia e avviare un nuovo percorso politico, una costituente per una sinistra sarda e di Sardegna, fuori dal Pd e costringendo il Pd ad una sfida di democrazia.

Si tratta di avviare un percorso politico articolato nei territori e nella pluralità delle economie capace di rivendicare e praticare quel sovranismo sempre più avvertito come una indispensabile condizione di crescita e di sviluppo. Certo, da un punto di vista elettorale, potrà al momento ancora essere minoritario, ma capace di far intravedere una nuova e concreta prospettiva della politica, che scavalchi gli accordi spartitori che consolidati gruppi di potere hanno già contratto nell’imminenza della prossime Regionali.

È la possibilità di una concreta prospettiva politica di reale partecipazione alle decisioni, quel governo di prossimità che sappia cogliere e tutelare le istanze che provengono dalla trasformazione della società civile, sempre più segnata dal crescere e impadronirsi, da parte di settori sempre più vasti, della consapevolezza del diritto ad una buona qualità di vita. È l’espressione di un conquistato senso della dignità umana che reclama il riconoscimento e la valorizzazione delle specificità di ciascuno e dei territori, per il valore assegnato alla cultura e all’etica, nel riconoscimento del valore della dignità della persona, discrimine e paradigma di una buona attività amministrativa e politica, anche nella consapevolezza che l’arte del mediare non è il mestiere della spartizione e che l’incarico di rappresentanza ricevuto non è una investitura. Allora come Dante, e sarebbe un ottimo inizio per una buona politica e per la costituente di una sinistra sarda, potremo dire “dei remi facemmo ali al folle volo”.

Roberto Serra

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