La politica abortita dei partiti italiani in Sardigna

Sarebbe stato bello vedere le facce di Renato Soru e Silvio Lai alla direzione del Partito Democratico a Roma quando hanno appreso che le nomine dei candidati erano state decise dall’alto. Come ai tempi di Barbareschi candidato ed eletto nelle liste del PDL. Ricordate? Un personaggio che della Sardegna ha visto solo il Billionaire e attualmente sta seduto in Parlamento a rappresentare i sardi. Altra tornata elettorale, altro schieramento, stesso schiaffo morale dall’altissimo contenuto simbolico per un partito che strizza l’occhio non tanto all’indipendentismo quanto ai suoi voti e alla sua capacità di appassionare l’agone politico. Come nel caso di Barbareschi anche stavolta gli elettori manderanno in Parlamento qualcuno mai visto e totalmente irraggiungibile, in questo caso una tizia di cui non si conosce neanche il nome in quota PSI.
Per il resto siamo alla farsa, anche le reazioni di ribellione e sdegno sotto sotto non hanno nulla di solido e verace.
La notizia letta sui giornali è carica di immagini e ci riporta ad altri delegati sardi in cerca di integrazione, vestiti di berritta e velluto, nel 1793. Siamo a Torino e i rappresentanti degli Stamenti sono rimasti fuori dalle porte del palazzo regio con il manifesto dei cinque punti in mano e lo sguardo smarrito nel vuoto ad aspettare di essere ricevuti dal “Re di Sardegna”. Altri tempi, stesse umiliazioni coloniali.

 

Chissà se con il senno di poi Camillo Bellieni, che ha grandi responsabilità storiche ma non era certo un servo o un cretino, invece di parlare di “nazione abortiva” non parlerebbe oggi piuttosto di “politica abortita”. La storica e ripetuta incapacità delle classi dirigenti sarde di scrollarsi di dosso lo stato di minorità e di rappresentare finalmente e degnamente il loro popolo ha purtroppo fatto scuola. Tornati in Sardegna ora i cinque cavalieri dell’apocalisse democratica dovranno spiegare ai loro elettori che la storia del partito federativo, della sovranità agita e delle primarie democratiche erano solo belle parole prive di riscontri oggettivi. Che buon pro gli faccia in questo arduo compito.

Ma se guardiamo in casa indipendentista, (la nostra casa), le cose non sono poi migliori. La vera tragedia dei sardi infatti non consiste nelle stereotipie subalterne degli esponenti italianisti, ma l’ossessione di stampo evangelico di alcuni indipendentisti di contaminare dall’interno questa stessa classe politica. Un esempio? La lettera al “compagno Bersani” dei Rossomori. Qualcuno fra noi ha anche inventato un neologismo, visto che noi sardi cancelliamo frettolosamente la nostra lingua madre, ma contribuiamo in compenso ad arricchire il vocabolario italiano. “Sovranismo” è la nuova formula magica con cui si vuol far credere che con le appendici dei partiti italiani è possibile stabilire strategie comuni in nome della sovranità. Meglio non commentare, i fatti romani parlano chiaro aquesto proposito.

Per noi che alle favole non ci crediamo questa è una buona occasione per ricordare ai cittadini e ai lavoratori sardi che le prossime elezioni saranno una bufala, che nessun parlamentare muoverà un dito per estirpare i poligoni militari, per ridare fiato all’agricoltura e alle manifatture e dignità alla nostra cultura e alla nostra lingua, o per dichiarare nullo il debito contratto con Equitalia come saldo a credito del debito che lo Stato ha accumulato verso di noi.

Il segnale ci sarà e sarà forte. I votanti non arriveranno al 50% e la voragine fra Italia e Sardegna sarà sempre più profonda. La sinistra indipendentista lavorerà in tal senso perché dalle urne deserte nasca una nuova consapevolezza di potere e dovere contare solo sulle nostre forze di popolo e nazione sovrana.

Cristiano Sabino

Portavoce di A Manca pro s’Indipendentzia

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