Alessandro Mongili: “Non voterò alle primarie. Vi spiego perché”

Da Alessandro Mongili riceviamo e pubblichiamo.

Ci sono tante ragioni per non votare alle prossime primarie del Pd. La prima, riguarda uno sguardo anche superficiale alle liste dei candidati all’assise che, secondo i soliti bizantinismi che caratterizzano questa struttura castosaura, devono confermare a Milano, il 15 dicembre, i risultati delle primarie stesse. Lì trovi il partito “vero”, nomi che corrispondono a carriere fatte di subalternità, fedeltà ai capibastone, piccole congiure e qualche sguardo distratto a ciò che avviene fuori dai luoghi al cui interno si ha “contezza” del gioco. Di tanti soldi, montblanc, borse Louis Vuitton, buoni benzina e gaggiùmine male assortito. Di tanta incompetenza e di troppa mediocrità. Di smisurata arroganza e chiusura.

E’ un sistema scoperchiato anche dal Kelleddaleak dell’altro giorno, e che ha provocato la catastrofe del Pd come partito, e il disprezzo di tanti suoi elettori. Si tratta di un partito che non ha un progetto, non ha un programma, e non fa mai nulla di positivo e tutto, assolutamente tutto, il peggio che ti puoi aspettare. In Sardegna, risulta massicciamente inguaiato nell’affaire dei rimborsi consiliari, non ha nulla da dire sui problemi che ci riguardano, cioè la mobilità, il lavoro, l’ambiente, la scuola, la lingua, eccetera eccetera. O, se ha qualcosa da dire, ne dice almeno tre diverse, per poi scegliere regolarmente l’opzione peggiore.

Ma, della Sardegna, il Pd si è sempre interessato pochissimo. Nei giorni dell’ultima alluvione, a leggere i profili dei suoi membri sui social network, l’interesse era unicamente centrato su queste primarie incipienti, e sul proprio posizionamento. Questa è la loro sensibilità, tranne alcune eccezioni. Sono momenti terribili, in cui la vera anima antisarda del partito, o comunque l’assenza di spirito di comunità, si mostra “au grand jour”, come quando l’allora segretario Franceschini non disse neanche una parola contro il trasferimento del G8 all’Aquila, rendendosi complice della scelta scellerata di Berlusconi e di Cappellacci, così devastante per la Sardegna e per La Maddalena in particolare. E quasi tutti in Sardegna tacquero, scegliendo ancora una volta la propria organizzazione contro la loro terra.

La seconda riguarda i candidati.
Cuperlo è un personaggio gradevole, e forse è la persona più preparata fra i tre. Tuttavia egli rappresenta il peggio di quel partito, la sua nomenklatura, il gruppo oligarchico che non vuole cedere neanche un’oncia del proprio controllo centralista. Sul piano politico, si tratta di un gruppo dirigente che ha perso tutte le battaglie, salvo quella di mantenere il proprio potere e i propri privilegi. A questa nomenklatura egli è completamente organico per storia, frequentazioni, ma anche per linguaggio tipicamente sconfittista, ad ascoltarlo con cura.

Egli ha sostenuto ultimamente la rielezione di Napolitano al Quirinale, che rappresenta un punto non certo eccelso per quella magistratura così importante, la trombatura di Prodi (senza dichiararlo apertamente, il ché è peggio), e, soprattutto lo sgoverno delle larghe intese che da un lato ha aperto l’abisso definitivo (e molto pericoloso) fra i cittadini e le istituzioni, forse non più rimediabile, e dall’altro non è riuscito a fare proprio nulla che contrasti, anche al limite da destra, la situazione di pericolosissima crisi economico-sociale e culturale in cui tutta l’Italia si trova a quasi affogare in questi anni. È espressione della cultura non democratica del vecchio Pci, che ancora non riesce a digerire il fatto che esistano maggioranza e opposizione, con ruoli diversi, e che noi possiamo governare con il consenso del popolo.

Cuperlo sta al Pd come Josefa Idem al governo di Letta il Nipote. Una foglia di fico per nascondere la puzza di nomenklatura, che può essere dimesso o messo da parte al primo incidente. Egli è il candidato usa-e-getta dell’oligarchia del Pd, un po’ come lo è stato prima Bersani, che anche lui non contava niente, ma rispetto a Bersani è ancora meno consistente anche se un pochino più presentabile perché almeno questo è colto e ha un bel portamento. Meno consistente perché rispetto ai gruppi e alle cordate che formano questo partito egli appare molto meno autonomo di Bersani, e del tutto dipendente. Egli è completamente un “uomo di”, mentre Bersani aveva un minimo di reti proprie, anche se terribili, come Penati, la LegaCoop, Comunione e Liberazione.

Renzi è un uomo di comunicazione notevole, una mente brillante, ha contribuito alla crescita della democrazia italiana costruendo la propria candidatura con la propria azione politica costante, intelligente, moderna, secondo modalità caratterizzate da apertura, partecipazione e da capacità di cogliere l’attimo. Tuttavia, la sua vittoria significherebbe sul piano programmatico un ritorno alle politiche blairiane in salsa italiota, cioè alle politiche che hanno condotto alla crisi gigantesca in cui stiamo affondando. A dire la verità, l’aspetto programmatico del renzismo è vago e l’uomo sembra inconsistente sul piano culturale e superficiale – a livello talvolta insostenibile – su quello del discorso che produce. Infine, è inquietante il fatto che abbia accolto nella sua cordata alcuni segmenti del PD senza nessuna preselezione. Insomma, un trasformista.

Infine, Civati. Qui il discorso è veramente complicato. Civati è simpatico, intelligente e il suo programma interessante. Ma con chi ci propone di portarlo avanti? Intorno a Civati trovi i soliti giovanivecchi del Pd, per esempio cagliaritano, che non hanno combinato mai nulla e che, anche loro, sono in generale estranei ai temi e ai problemi della Sardegna, in genere aderendo a posizioni nazionaliste italiane e antisarde, turisti nella propria terra, come tanti, purtroppo.

Civati è un idealista e votarlo significa compiere un’azione che è intimamente avventurista, perché non commisura il suo programma con le forze che possono portarlo avanti. Civati è un simpaticone, peccato che ci proponga una gita a Disneyland, in un paese dei balocchi che loro chiamano il Pd che vorrebbero, ma che non ha alcuna attinenza con il Pd che esiste davvero, che infatti si guarda bene dal votare lui. Anche lui merita di essere lasciato solo e di non essere votato, per lo spreco di energie e di tempo che queste operazioni comportano. Il tempo del Pd è finito, un partito non può essere una droga pesante né ancor meno un intralcio a processi di cambiamento non più procrastinabili se non vogliamo tutti affogare in una crisi che non ci lascerà molto scampo.

Alessandro Mongili

 

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