Il suino sardo entra a far parte dei Presìdi Slow Food: il progetto per difenderlo dal rischio estinzione

di Andrea Tramonte

Il blocco delle esportazioni fuori dall’Isola di prodotti alimentari a base di maiale, legato alla piaga della peste suina, ha messo a dura prova il settore dell’allevamento ma anche la stessa esistenza della razza sarda. Ora la situazione si è normalizzata: l’emergenza del virus è rientrata e l’embargo sull’export è cessato. Ma la necessità di difesa della razza dal rischio di estinzione è rimasta sul tavolo ed è ancora più urgente. Ecco perché il suino sardo è entrato a far parte dei Presìdi Slow Food. Il progetto dell’associazione fondata da Carlo Petrini nasce per lavorare ogni giorno alla salvaguardia di razze autoctone, varietà di ortaggi e frutta, pani, formaggi, salumi. Il rischio, per certi prodotti, è quello dell’estinzione e le comunità di Slow Food si impegnano per difenderli, e insieme tramandare mestieri e tecniche di produzione, prendendosi cura dell’ambiente e valorizzando paesaggi, territori e culture.

Il suino sardo è una razza rustica allevata in tutta l’Isola: dalle Barbagie alle aree del Gennargentu e del Supramonte, ma anche in Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei, nell’area del Monte Linas e nel Sulcis-Iglesiente. Si presenta con manto scuro, taglia piccola, zampe corte e robuste, una criniera di setole sulla schiena. “Restano solo quattro Comuni in zona rossa – dice il referente Slow Food del nuovo Presìdio, Raimondo Mandis – mentre dal resto della regione è nuovamente possibile movimentare carni e salumi al di fuori dell’Isola. Il riconoscimento come Presidio è un segnale, un modo per sottolineare l’importanza di promuovere forme di allevamento locali e pratiche di trasformazione virtuose, per evitare che si commercializzino carni che arrivano da fuori regione e che, in Sardegna, vengono soltanto trasformate, come tuttora in alcuni casi avviene. Abbiamo una razza autoctona da sostenere e valorizzare, simbolo della biodiversità locale e fortemente integrata nell’ambiente isolano”.

La filosofia di Slow Food del resto è sempre stata improntata al consumo (moderato) di carni locali, da allevamenti che diano grande rilevanza al benessere animale. La biodiversità è un valore da preservare perché ci parla di varietà, natura e legame col territorio, di paesaggi e ambiente. Perché è un patrimonio di ricchezza che quotidianamente rischiamo di sradicare e perdere. Il maiale poi è parte integrante della nostra cultura anche a livello ambientale e comunitario. “Nei boschi dove i maiali pascolano vengono da secoli rispettati i cosiddetti usi civici – spiega Mandis -: qui le terre sono utilizzate dalla comunità e gli allevatori le occupano a rotazione, ciascuno per un certo periodo di tempo, assicurando a tutti la possibilità di nutrire i propri animali e conservando le risorse del bosco in modo bilanciato. Il tutto, naturalmente, soltanto nelle stagioni più fredde, i mesi nei quali i maiali non rischiavano di danneggiare le altre colture”. 

Il suino sardo si procura il suo nutrimento nei boschi e nelle foreste e per questo alimentarlo e mantenerlo costa poco: in particolare si nutre di ghiande che abbondano nei lecceti. L’animale si muove parecchio grazie al pascolamento – il cosiddetto semibrado controllato che prevede libertà di movimento e una recinzione che impedisca loro di entrare in contatto coi cinghiali – e questo gli consente di consumare parecchio dell’apporto nutritivo che assume. “Ne deriva una carne dal grasso importante – spiega Mandis – ma dalle caratteristiche nutrizionali ottimali, con bassa percentuale di grassi insaturi. E poi non viene alimentato con insilati né assume antibiotici. Il finissaggio poi, con ghiande, carrube e castagne, assicura prodotti molto dolci”.

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