Filindeu, quando la pasta è molto rara. Una eccellenza tradizionale del Nuorese

Trovarli nei ristoranti è molto difficile. Per non parlare dei market: se provate a chiederne un pacco potreste facilmente incontrare degli interlocutori che non sanno neanche di cosa state parlando. Perché i filindeu sono una pasta rara, rarissima: solo poche donne del Nuorese conservano tecnica e manualità per produrla e quindi la loro diffusione è legata alle quantità che sono in grado di preparare le depositarie di quel saper fare antico. Soprattutto in occasione di alcune feste barbaricine o grazie alla collaborazione con alcuni ristoranti che non possono far mancare in menù un piatto di filindeu.

La varietà delle paste tradizionali sarde è straordinaria, e i filindeu rappresentano una eccellenza dell’eccellenza, resa ancora più straordinaria dalla difficoltà nel prepararla. Un noto chef inglese, Jamie Oliver, qualche anno fa si è recato a Nuoro per con l’obiettivo di imparare. Ma alla fine si è dovuto arrendere: troppo difficile. La tecnica in effetti è abbastanza complessa e si può sintetizzare così: la pasta di semola viene tirata e piegata con la punta delle dita fino a formare 256 fili uniformi. Quei fili poi vengono allungati in diagonale su un ripiano tondo, andando a creare uno schema a tre strati piuttosto intricato, e poi lasciati essiccare. Alla fine si ottengono dei filamenti sottili che vengono chiamati i “fili di dio”, appunto. Sono serviti principalmente in brodo di pecora in occasione della festa di San Francesco di Lula. Al termine del pellegrinaggio di 30 chilometri, i fedeli si ristorano con un piatto caldo di filindeu. Una tradizione antichissima di cui val la pena di fare esperienza anche solo per avere occasione di gustare questa specialità.

Nei ristoranti è difficile trovare i filindeu, ma non impossibile. A Nuoro è molto apprezzata la versione del ristorante Il rifugio, che propone un menù che attinge dalla tradizione e in cui i filindeu rappresentano uno dei piatti più apprezzati. A Cagliari è una chef nuorese a proporli, in versione leggermente rivisitata. Marina Ravarotto di Chiaroscuro alleggerisce il sapore del brodo di pecora – originariamente molto forte – grazie all’utilizzo di una tecnica francese, la consommé: il brodo viene “chiarificato” e il sapore così risulta più leggero, ma altrettanto gustoso.

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