di Vito Fiori
“Il reciproco riconoscimento e il rispetto dei differenti ruoli delle diverse istituzioni devono trovare applicazione anche per evitare sterili strumentalizzazioni. Possono apparire principi ovvi, ma nella realtà quotidiana anche l’ovvio può essere utile se non necessario”. Così parlò Gemma Cucca, presidente della Corte d’appello di Cagliari, nella relazione introduttiva all’Inaugurazione dell’Anno giudiziario. Un accenno apparso a molti come un riferimento al provvedimento del Collegio di garanzia che ha disposto la decadenza della presidente della Regione Alessandra Todde (presente in prima fila nell’aula del palazzo di giustizia) per le anomalie nella rendicontazione delle spese elettorali.
Cucca ha poi aggiunto: “Non si può intravedere alcuna necessità da parte nostra di difendere pubblicamente le decisioni assunte proprio in quanto noi magistrati non dobbiamo rispondere alle opinioni correnti, ma solo alla legge, in ossequio al giuramento di fedeltà alla Costituzione, senza dover privilegiare alcuno e con la consapevolezza del quadro normativo specificamente rilevante e dei valori che dobbiamo bilanciare e che rendiamo noti con la motivazione dei provvedimenti con la quale solo si risponde anche agli attacchi derivanti da decisioni talvolta sgradite che potrebbero, oltretutto, essere semplicemente impugnate”. Collegare queste parole alla questione Todde era inevitabile. E la governatrice, dal canto suo, al termine dell’evento, ha voluto precisare: “Non c’è stato alcun faccia a faccia, sono qui a rappresentare l’istituzione. Continuo, come ho sempre fatto, ad avere la massima fiducia nella magistratura. I miei avvocati stanno studiando il caso, non so se hanno già presentato il ricorso questa mattina, e io resto tranquilla”. La Cucca ha quindi affrontato in oltre un’ora tutti i temi relativi al settore giustizia in Sardegna. Una relazione lunga e, per certi versi, esaustiva.
Dopo di lei, è toccato a Marcello Basilico, componente del Csm, quindi a Edmondo De Gregorio, in rappresentanza del ministero. A questo punto la gran parte dei magistrati è uscita platealmente dalla sala (è successo in tutta Italia) per contestare la riforma della giustizia portata avanti dal governo di Giorgia Meloni. I togati sono poi rientrati per ascoltare la relazione dl Procuratore generale Luigi Patronaggio, il quale, dopo aver illustrato la sua disamina sulla situazione del crimine nell’isola, si è soffermato su alcuni aspetti della criticata riforma e sui reati cancellati negli ultimi tempi. “Il malessere dei colleghi mi induce a una riflessione sui rapporti tra magistrati e politica. È inutile negarlo, il contrasto esiste”. E giù duro: “L’abolizione dell’abuso d’ufficio ha aperto un varco all’illegalità. La separazione delle carriere dei magistrati non apporta nessun beneficio all’efficacia della giustizia. Il pubblico ministero non può essere sottoposto al controllo della politica perché la sua indipendenza è una garanzia per i cittadini. Qui, invece, si cercano garanzie per i colletti bianchi e si va con la mano sempre più pesante nei confronti della piccola criminalità. Anche il dissenso e le manifestazioni di piazza, che talvolta sfociano nell’illegalità, non possono essere affrontate con norme securitarie quando servirebbero adeguate riforme sociali”. Infine, il discorso carceri: “Il progresso della società si vede nel rapporto tra detenzione e recidiva. Se la seconda è più alta della prima significa che il sistema non funziona, che non rieduca e non forma. Nel 2024 abbiamo registrato 88 suicidi negli istituti di pena, tanti, troppi per non pensare che occorra intervenire quanto prima”.