“La Giunta Todde a livello politico sostiene questa legge perché è un segno di civiltà, ma va declinata meglio”. Così l’assessore alla Sanità, Armando Bartolazzi, sulla proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito approdata stamane nella commissione Salute del Consiglio. “La legge sul fine vita è una questione molto delicata – spiega Bartolazzi – perché chiaramente implica delle questioni anche di coscienza, di religione, di obiezione. È comunque un segno di alta civiltà, se si riesce a declinarla e a proporla nel modo giusto. Da medico e da tecnico devo dire che questa legge sul fine vita parte, secondo me, da un punto critico legato al fatto che si parla di suicidio assistito”. In realtà, sottolinea Bartolazzi “il suicidio assistito, tra virgolette, è sempre stato implicito nel rapporto e nel contratto medico-paziente: il medico sa quando deve fermarsi, e il paziente sa quando vuole fermarsi. Questa è una questione che è sempre esistita in medicina”.
La fine delle sofferenze, prosegue, “è una cosa quasi concordata in maniera tacita tra i due attori, quindi tra il paziente e tra il medico. Secondo me bisognerebbe ragionare sul togliere le parole ‘suicidio assistito’ dalla legge, perché sembra quasi che ci sia un’autorizzazione al suicidio. Va quindi rivista secondo me dal punto di vista concettuale, ma qui parlo da medico e non da assessore”. Ribadisce Bartolazzi: “Ci sono condizioni dove lasciar soffrire una persona senza possibilità di guarigione, lasciar soffrire una persona che non ha più chance, che non ha più voglia di vivere, è un accanimento terapeutico che dovrebbe essere evitato. Quindi, la difficoltà di questa legge, in discussione da diversi anni, è proprio su questo punto: occorre ristabilire il normale rapporto medico-paziente, un rapporto fiduciario, un rapporto intimo”. Se per Bartolazzi si rivedono le cose in questa ottica “e si riesce a togliere il passaggio ‘suicidio assistito’- è una mia opinione personale- forse il percorso potrebbe essere molto più facile”.