Christian Solinas, il Pd e gli ex bersaniani di Leu non avevano ragione. A distanza di un anno dal ricorso promosso dall’allora Governo di Mario Draghi contro la legge 9 dell’11 aprile 2022, quella che ha come titolo ‘Interventi vari in materia di enti locali’, la Consulta ha emesso il suo verdetto: è incostituzionale aumentare il numero di mandati per i sindaci nei Municipi sino ai 5mila abitanti. Ugualmente la Regione non aveva il potere di regolamentare l’accesso all’albo dei segretari comunali e provinciali.
La scure della Consulta (nella foto di copertina) si è allungata rispettivamente sugli articoli 1 e 3 che fecero dividere trasversalmente il Consiglio regionale. Fu addirittura il Pd, con Roberto Deriu, a esercitare da capo popolo sui mandati delle fasce tricolori incassando l’ok di Psd’Az, Riformatori e Forza Italia, con in testa l’allora assessore sardista agli Enti locali, Quirico Sanna, e il governatore Christian Solinas. Sui segretari, invece, fu ancora un pezzo di centrosinistra a proporre la modifica normativa attraverso Eugenio Lai e Daniele Cocco Secondo, gli ex Leu diventati Verdi. In ogni caso, come si vede negli screenshot che pubblichiamo alla fine dell’articolo, in quella seduta del 30 marzo 2022 gli onorevoli presenti furono appena 32 su 60.
Con la legge 9/2022, il centrodestra e fazione bipartisan assegnarono, ai primi cittadini dei Comuni sotto i tremila abitanti, la possibilità di candidarsi anche quattro volte di seguito, per un totale di venti anni di mandato in caso di elezione. Nei centri sino a 5mila abitanti, invece, il numero massimo di candidature senza soluzione di continuità fu portato a tre.
Il Governo Draghi aveva impugnato la legge sarda con la solita motivazione: la Regione ha acceduto nell’esercizio delle sue competenze, autoattribuendosi funzioni che spettano allo Stato. Vero che in materia di enti locali l’Isola ha ampi margini concessi dalla Specialità autonomistica, ma in alcun caso questi possono invadere la potestà dello Stato, come invece ha sostenuto Roma. Adesso quell’eccesso di potere è stato riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale.
Il voto in Aula sulla legge 9 fece discutere. Il Pd, lancia in resta, si schierò a favore dei primi cittadini dei piccoli Comuni perché valgono l’80 per cento di tutte le fasce tricolori sarde. L’obiettivo era anche nobile: nell’Isola esiste una reale difficoltà a reclutare la classe dirigente dove lo spopolamento avanza. Ma farlo in violazione della Costituzione è stata una mossa dal sapore squisitamente elettorale.
Il gioco politico, infatti, non era piaciuto ai Fratelli d’Italia, che si opposero: tutti e tre gli onorevoli votarono contro l’articolo 1 della legge 9, benché l’allora capogruppo, Francesco Mura, oggi deputato, fosse uno dei potenziali beneficiari, visto che guida un Comune in formato mini come Nughedu Santa Vittoria, nell’Oristanese. Stessa scelta per Fausto Piga e Antonio Mundula. Ma Mura, a differenza degli altri due Fdi, espresse la propria contrarietà all’intera legge.
A opporsi all’articolo 1 sull’aumento dei mandati per le fasce tricolori furono pure i Progressisti di Francesco Agus, Massimo Zedda e Gian Franco Satta più i due M5s presenti in quella seduta, Roberto Li Gioi e Desirè Manca. Sul voto finale, invece, i cinque si astennero. Stessa scelta – di contrarietà sull’articolo 1 e rinuncia a esprimersi sull’intera norma – per gli ex Progressisti Laura Caddeo e Diego Loi (oggi Verdi) e per Giovanni Antonio Satta, altro indipendente del Consiglio regionale, ex dei Riformatori.
Quando all’articolo 3, proposto da Lai e Cocco, la legge 9 stabiliva una sorta di iscrizione d’ufficio all’albo dei segretari comunali e provinciali “agli istruttori direttivi e ai funzionari di ruolo” negli stessi enti. Ai quali era chiesto semplicemente di mandare due righe per sollecitare il lasciapassare. Ma anche in questo caso si è creata una disparità di trattamento rispetto al contesto nazionale. Di qui la decisione della Corte Costituzionale di cassare pure l’articolo 3.
Quando un anno fa il Governò aveva impugnato la legge 9, Solinas e alleati raggiunsero il record di sedici norme contestate da Roma. Per una volta con lo zampino di Pd ed ex Leu. Tutte le altre, invece, il centrodestra ha sbattuto la testa da solo. (al. car.)