Mesina “protettore” dei Vip. Un affare con Marina Berlusconi, una telefonata con Emilio Fede. E l’idea di sequestrare un bambino: “Ma dev’essere grande”

Un “risolutore di problemi” per Very important person. Era questo, molto più che un trafficante di droga, Graziano Mesina. Un uomo che aveva fatto della sua fama di bandito una fonte di guadagni. A volte – semplicemente e legittimamente – facendosi pagare per essere intervistato. Altre volte intervenendo per convincere la controparte di una trattativa economica a “ragionare” o un molestatore a lasciare in pace qualche protetto dei suoi amici illustri.

Amici di tutti i generi. Di alcuni – come l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga – si sapeva. Di altri si sta venendo a conoscenza via via che escono frammenti delle intercettazioni ambientali svolte nel corso dell’inchiesta che ha riportato in cella l’ex primula rossa del Supramonte. Oggi l’Unione sarda aggiunge una serie di nomi alla lunga lista dei Vip-amici con i quali Mesina conversava. A volte per parlare del più e del meno, come si usa tra conoscenti che di tanto in tanto si sentono e si scambiano cordialità al solo scopo di coltivare una relazione. A volte per parlare di qualche “problema da risolvere”.

Nei giorni scorsi era emerso che dall’inchiesta principale ne è scaturita un’altra. Ha ha lo scopo di accertare che ruolo Mesina abbia avuto nella transazione tra il pastore Paolo Murgia e l’immobiliare facente capo alla famiglia Berlusconi che da anni erano in conflitto per la proprietà di un grande appezzamento di terreno (si parlò di 500 ettari) a Capo Ceraso. Controversia risolta nel 2010, pochi mesi prima che il pastore passasse a miglior vita, col pagamento di 700mila euro in cambio della rinunzia da parte di Murgia alla pretesa di aver acquisito per usucapione la proprietà di quelle terre pregiatissime.

Adesso a quell’inchiesta si aggiunge un nuovo elemento. Una frase detta da Mesina (e intercettata dalla “cimice” piazzata sulla sua Porche Cayenne) all’autista. Una frase nella quale compare il nome di una supervip: Marina Berlusconi.

Era contrariato Graziano Mesina. Il fatto di non aver la patente di guida la rendeva sempre dipendente da qualcuno per gli spostamenti (e infatti diversi degli orgolesi finiti in cella erano stati suoi autisti) e i suoi giovani parenti non erano disponibili quanto avrebbe voluto. Peggio per loro. Perché a lavorare per lui c’era da guadagnarci.

In questo contesto, il riferimento ai tanti soldi incassati attraverso un certo affare concluso con Marina Berlusconi. Soldi dei quali avevano beneficiato diversi suoi autisti tra i quali aveva distribuito 150mila euro. Così qualcuno si era potuto comprare la macchina, mentre altri si erano messi in tasca un bel po’ di contante. Naturalmente la domanda a cui gli investigatori vogliono trovare risposta è se quel grande affare fosse la transazione per le terre di Capo Ceraso. E, di conseguenza, cos’abbia fatto Mesina per favorirla.

MINACCIAVA RITORSIONI O BASTAVA IL SUO NOME?

E’ davvero complicato individuare in questa vicenda la linea di confine che separa la persuasione dall’intimidazione. Perché un po’ in tutti gli ambienti il solo nome di Mesina, il suo solo interessamento, producevano un qualche effetto intimidatorio. E questo, di certo, non può essere considerato un reato. Non è infatti un reato sfruttare il proprio mito negativo per indurre gli interlocutori a essere ragionevoli e accomodanti. Lo diventa quando al nome si aggiunge la prefigurazione di un danno. Cioè una minaccia .

A essere consapevoli della “forza” di quel nome erano anche gli amici e i conoscenti “continentali”. Dal mare delle intercettazioni ne è emersa una davvero sorprendente, che rimanda ancora una volta al mondo di Silvio Berlusconi. Dall’altro capo del telefono c’era infatti Emilio Fede, il direttore del Tg4. Che chiamò Mesina (era l’aprile dello scorso anno) per dirgli che la figlia di un suo amico sardo che ha avuto problemi con la giustizia veniva maltrattata nell’ambiente di lavoro. Lo pregò di intervenire. E Mesina assicurò che sarebbe andato a Tempio Pausania a trovare la ragazza.

Cosa sia accaduto in seguito non si sa. Forse è bastato che un giorno, uscendo dal lavoro assieme ai colleghi, la giovane donna abbia saluto cordialmente Graziano Mesina. E che, riconoscendolo, i molestatori abbiano deciso che era più prudente, da quel momento in poi, cambiare atteggiamento. Se è andata così, non solo non si può parlare di reato ma, al contrario, si è quasi in presenza di una buona azione. Ma è poi andata così? E, soprattutto, è sempre andata così o in altri casi Mesina ha aggiunto al proprio nome qualche parola in più, qualche parola di troppo?

“SE Il BAMBINO E’ PICCOLO LASCIAMOLO STARE: SE E’ GRANDE PRENDIAMOLO”

Di certo è successo (sempre da quanto emerge da un’intercettazione) nel corso di un intervento di “recupero crediti” nei confronti di un imprenditore (del quale non si conosce il nome) di Bono. A quanto pare l’uomo faceva una certa resistenza a ripagare un debito. Come convincerlo a cambiare atteggiamento?

Mesina, a bordo della solita Porche Cayenne, ne parla col suo autista. E gli chiede se il debitore sia sposato e abbia dei figli. Ne ha tre. Uno di quindici anni, una ragazza di tredici e un bambino di tre-quattro anni. “Basta prendere un figlio”, dice Mesina. Con una cautela: prendere quello grande, non il piccolino. “Non piacerebbe nemmeno a me – dice – però se sono grandi sì”.

Uno scambio di battute che richiama una delle gesta che resero celebre Mesina agli albori della sua carriera criminale. Era il 1968 quando rapì il commerciante di Ozieri Nino Petretto e il figlio Marcello, un bambino di 6 anni, che era con lui. Il bambino fu liberato poche ore dopo. E Mesina, nel salutarlo, gli diede anche mille lire per le caramelle. E’ uno degli episodi che hanno contribuito a creare la fama di Mesina “bandito dal volto umano”. Una fama che quest’ultima inchiesta sta facendo pericolosamente vacillare.

UN UOMO CINICO DALLE RELAZIONI ALTOLOCATE

Sta emergendo al contrario la figura di un cinico. Un uomo avido di denaro.  Poteva guadagnarne, e parecchio, in modo del tutto lecito, sfruttando il suo nome, facendosi pagare almeno diecimila euro a intervista, intrattenendo turisti alla ricerca di emozioni forti. Non gli bastava.

Un uomo ben attento a coltivare le relazioni con i potenti di tutti gli ambienti. I suoi interlocutori telefonici famosi sono tantissimi. Secondo il quotidiano di Cagliari, nel fiume delle intercettazioni sono state trovate sue telefonate (non sospette: normali conversazioni) col leader dell’Udc sarda Giorgio Oppi, con l’ex brigatista Giuliano Deroma, col titolare della discoteca per Vip di Porto Cervo Gianni Principessa (che faceva da tramite per il “re del Bagaglino” Francesco Pingitore), con l’allenatore del Cagliari Massimiliano Allegri. Oltre che – ma questo lo si sapeva – con Gigi Riva. Un altro mito degli anni Sessanta sardi. Un mito, però, che mai è stato messo in discussione.

Nicolò Businco

 

 

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