Sardegna rischia la ‘servitù energetica’. Solinas a Roma. Sindacati: ‘Noi esclusi’

Il presidente della Regione, Christian Solinas, vola a Roma per incontrare i colossi italiani dell’energia. Al tavolo convocato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, siederanno Arera, Rse, Enel, Terna, Ep Produzione, Snam, Saras e Italgas. Ovvero l’intera filiera del settore. Il rischio è che l’Isola diventi una servitù energetica, soprattutto alla luce del Piano selvaggio che si prevede la nostra Isola, anche attraverso gli interventoi previsti con il Recovery fund, l’intervento europeo a sostegno della crisi economica seguita al Covid.

A Sardinia Post, a giugno, il sindaco di Villanovaforru, Maurizio Onnis, aveva raccontato in un’intervista la situazione sarda con i nuovi 112 impianti, tra eolici e fotovoltaici, “in attesa di autorizzazione” e che verrebbero “calati dall’alto”, aveva evidenziato il primo cittadino. Quel rischio non solo sembra concreto, ma sempre più vicino. Anche perché all’ordine del giorno c’è la discussione sulla transizione energetica, ovvero la chiusura delle centrali a carbone.

Ecco quella può essere la ‘finta’ occasione per trasformare la Sardegna nella terra del Bengodi per chi produce energia, ma con ricadute pressocché inesistenti a fronte di migliaia di ettari da convertire in impianti. Il sindaco di Villanovaforru aveva anche fatto il calcolo sui quei 112 impianti. “In Sardegna – spiegò Onnis – secondo i dati pre-pandemia si producono 12,2 terawatt di energia elettrica che corrispondono a 12.200 gigawattora. Di questi, 8.500/9.00 soddisfano il fabbisogno dell’Isola, mentre gli altri 3.000 vengono esportati. Nel dettaglio della tipologia, i 12,2 terawatt risultano così divisi: il 76,3 per cento, cioè tre quarti della produzione, deriva da impianti termoelettrici, quindi combustibili fossili. I circa 3mila gigawattora rimanenti, pari al 25 per cento del totale, si ricavano da acqua, vento e sole. Precisamente il 4,1 per cento dall’idroelettrico, il 12,7 dall’eolico e il 6,9 per cento dal fotovoltaico. Questi 3mila gigawattora costituiscono la cosiddetta produzione Fer (le rinnovabili). Il risultato è paradossale: con le sole Fer, appunto, verrebbe coperto l’intero fabbisogno sardo di energia elettrica, ma la realizzazione selvaggia di questi impianti è destinata a tradursi in un giro d’affari che finirà lontano. Di sicuro supererà il mare”.

Il rischio di diventare una servitù energetica preoccupa evidentemente anche i sindacati, esclusi dal tavolo al  dicastero della Transizione ecologica (Mite), convocato oggi alle 15.30. “Auspichiamo che il ministro Cingolani e il presidente Solinas convochino al più presto le parti sociali per discutere dei temi oggetto del tavolo previsto (oggi) a Roma, del quale abbiamo saputo, con non poco disappunto, solo dalla stampa”, dicono i segretari generali Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Samuele  Piddiu, Gavino Carta e Francesca Ticca.

Già il 22 luglio Cgil, Cisl e Uil avevano inviato una lettera ai ministri Cingolani e Giorgetti (Sviluppo economico) affinché fosse aperto un confronto, insieme alle parti sociali, sul tema della transizione energetica e del phase out delle centrali termoelettriche a carbone. Secondo i sindacati, “la materia energetica, la giusta transizione e le modalità di spesa delle risorse a disposizione per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione della Sardegna “devono essere frutto di una “discussione collettiva, che non può prescindere dal coinvolgimento delle parti sociali”.

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