Rinnovabili, piano selvaggio nell’Isola: “Qui pale e pannelli, ma i ricavi altrove”

Il Recovery fund – che in Italia verrà attuato attraverso il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza – rischia di  trasformarsi in una maledizione ambientale e paesaggistica in Sardegna. Perché la nostra Isola, terra di vento e di sole, sta diventando l’ambita meta in cui installare impianti eolici e fotovoltaici. Significa l’occupazione di migliaia di ettari, anche lungo le coste. Con una beffa. “I ricavi enormi generati dagli incentivi statali non resteranno di certo qui”,  incalza Maurizio Onnis, fascia tricolore a Villanovaforru e presidente di Corona de Logu, l’associazione politica che raccoglie gli amministratori indipendentisti.

Sindaco, si profila un quadro drammatico per la Sardegna: sappiamo che lei ha fatto il conto dei nuovi impianti, eolici e fotovoltaici, che potrebbero prendere forma nell’Isola con il Pnrr.

Io e altri, non ho lavorato da solo, abbiamo calcolato che sono in attesa di autorizzazione da parte dello Stato e della Regione 112 impianti. Di cui 21 sono nuovi grandi parchi eolici e 91 fotovoltaici. Sommano una produzione di oltre 5mila gigawattora all’anno, che andrebbero ad aggiungersi a quelli che la nostra Isola produce già da fonti rinnovabili Fer. Il risultato è paradossale: con le sole Fer, appunto, verrebbe coperto l’intero fabbisogno sardo di energia elettrica, ma la realizzazione selvaggia di questi impianti è destinata a tradursi in un giro d’affari che finirà lontano. Di sicuro supererà il mare.

Faccia pure i calcoli precisi sullo scenario energetico sardo in tempo di Pnrr.

In Sardegna, secondo i dati pre-pandemia, si producono 12,2 terawatt di energia elettrica che corrispondono a 12.200 gigawattora. Di questi, 8.500/9.00 soddisfano il fabbisogno dell’Isola, mentre gli altri 3.000 vengono esportati. Nel dettaglio della tipologia, i 12,2 terawatt risultano così divisi: il 76,3 per cento, cioè tre quarti della produzione, deriva da impianti termoelettrici, quindi combustibili fossili. I circa 3mila gigawattora rimanenti, pari al 25 per cento del totale, si ricavano da acqua, vento e sole. Precisamente il 4,1 per cento dall’idroelettrico, il 12,7 dall’eolico e il 6,9 per cento dal fotovoltaico. Questi 3mila gigawattora costituiscono la cosiddetta produzione Fer.

In teoria un così netto passo avanti in materia di rinnovabili dovrebbe far gioire. Invece c’è la pesante stortura economica di cui si parlava prima. Dove sta l’inghippo?

Il problema di questi 112 nuovi impianti in attesa di autorizzazione è che verrebbero calati dall’alto in un’Isola dove il Piano energetico regionale è ormai vecchio di qualche anno. Prima di implementare la produzione anche con un solo nuovo parco, servirebbe una pianificazione a monte. Purtroppo sta succedendo che arriva qui un qualunque imprenditore, o un fondo di investimento, e presenta un progetto. Ma l’intervento finisce per essere totalmente decontestualizzato da un ragionamento complessivo.

Cosa fare, allora?

Il fenomeno Fer andrebbe studiato a cominciare da una valutazione sull’assorbimento energetico in Sardegna. Vale a dire i presunti consumi futuri fatti da cittadini e aziende. Né esiste uno studio aggiornato sulla condizione della rete di distribuzione elettrica, così come sulle infrastrutture collegate e sulla riduzione programmata della produzione di energia derivante da combustibili fossili. Peraltro: sulla carta lo spegnimento delle centrali a carbone è fissato per il 2025. Ma nella pratica non ci sono certezze. Non solo: l’addio al carbone poggia sull’introduzione del metano,  da importare in Sardegna con un ritardo di decenni rispetto al resto d’Italia e parliamo comunque di un combustibile fossile, quindi ugualmente climalterante.

Il piano selvaggio sulle rinnovabili dipende dal decreto Semplificazioni, varato alla fine di maggio  dal Governo Draghi per velocizzare la realizzazione degli interventi previsti con il Pnrr. Ma se da un lato si taglia la burocrazia, per un altro verso si  spazzano via competenze territoriali e tutele. Poggia qui la stortura?

Anche qui, sì. Prendiamo l’articolo 29 del decreto Semplificazione. Il comma 1 recita testualmente: “Al fine di assicurare la più efficace e tempestiva attuazione degli interventi del Pnrr, presso il ministero della Cultura è
istituita la Soprintendenza speciale per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ufficio di livello dirigenziale generale straordinario operativo fino al 31 dicembre 2026”. Questo vuol dire che al Mibact dispone di un nuovo ufficio che bypassa le Sovrintendenze territoriali, forse destinate a non contare più nulla perché tutto verrà deciso a Roma, dal ministero guidato da Franceschini. Cioè: il decreto pensato per sveltire le procedure, avrà come effetto collaterale anche quello di esautorare gli enti e le istituzioni locali. Gli impianti Fer verranno allineati in Sardegna sulla base di decisioni prese quasi esclusivamente a Roma.

Un altro esempio?

Il comma 2 dello stesso articolo 29. A riprova di quanto detto, è scritto: “In caso di necessità e per assicurare la tempestiva attuazione del Pnrr, la Soprintendenza speciale può esercitare, con riguardo a ulteriori interventi
strategici del Pnrr, i poteri di avocazione e sostituzione nei confronti delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio”. Inoltre, il decreto Semplificazione riduce anche i tempi concessi ai portatori di interesse per manifestare le proprie osservazioni rispetto a un determinato intervento. Con questo taglio, i comitati e le organizzazioni saranno in difficoltà, perché non avranno il tempo materiale per leggere, confrontarsi e presentare le richieste di correzione. In queste condizioni, tutto passerà senza ostacoli.

Normalmente come funziona?

Normalmente le competenze decisorie sono divise tra enti locali e Stato. Con le nuove norme è quest’ultimo che avoca a sé il grosso delle scelte, secondo un centralismo del tutto ingiustificato.

Sorprende che sia stato anche il centrosinistra a dare il paesaggio italiano in pasto al nuovo business energetico.

Non sono per nulla sorpreso. In Italia è convincimento diffuso che la sinistra, solo per il fatto di essere tale, debba fare determinate cose. Ma io non gliele vedo fare da decenni e decenni.

La Giunta Solinas tace ugualmente.

Io non vedo traccia in Regione di una programmazione industriale. E né l’assessorato competente né lo stesso presidente Solinas danno spazio e considerazione alla programmazione energetica. La Regione, indubbiamente, avrebbe il dovere di intervenire. Prima di tutto per rivendicare la titolarità delle competenze sulla valutazione dei progetti e sulla loro autorizzazione. Altrimenti nel giro di qualche anno la Sardegna si ritroverà con una produzione di energia ancora più sovrabbondante di quanto non sia oggi. E un identico risultato: nuovo consumo di territorio senza che qui resti una compensazione economica adeguata. Gli incentivi statali previsti stanno finendo tutti nelle tasche di costruttori e gestori degli impianti. È più che mai necessario che la Regione aggiorni il proprio Piano energetico regionale, allineandolo a quello nazionale, o se serve anche in urto al Pniec. Solo in questo modo si può pensare di salvaguardare gli interessi della Sardegna.

Esiste un modo perché quelle compensazioni restino nella nostra Isola?

È un fatto di peso politico. Nel Nord Europa, dove vengono installati gli impianti, resta una quota più alta di denaro e opere rispetto briciole concordate sino a oggi nella nostra Isola. Ma la capacità di contrattare benefit importanti è anche una questione di autorevolezza. Martedì prossimo in Consiglio regionale si torna a discutere una proposta di legge sulle comunità energetiche, presentata nel 2019 dalle opposizioni. La proposta riguarda l’energia si produce e si consuma sul posto. Quindi non  realizzazione di mega impianti, come accade oggi, ma piccole stazioni per il consumo locale. Questo sarebbe il futuro. Ma se Roma da un lato autorizza i nuovi parchi eolici e fotovoltaici e la Regione non fa nulla per opporsi, questa proposta, anche quando fosse realizzata, resterebbe una goccia nel mare. Un’occasione persa. Un’altra.

È pessimista?

Più che altro di questo passo si profila un solo scenario: la conversione della Sardegna in una piattaforma energetica, soluzione che mi vede contrarissimo. Purtroppo il trend si sta ripetendo identico in tutto il Meridione d’Italia, dove è concentrata la maggior parte delle pale eoliche e dei pannelli fotovoltaici del nostro Paese. Ma l’energia prodotta va al Nord, dove è maggiore il consumo da parte di cittadini e imprese. La Sardegna e il Sud sono pensati come colonia economica, come succursale di interessi che stanno fuori. Lontano dai nostri territori.

Il tema appassiona poco i sardi. Vuole lanciare un appello?

Dico solo che sarebbe bello non farsi imporre da Roma una politica energetica che non è adeguata ai nostri bisogni.

Lei è presidente di Corona de Logu. I sardi, però, non sono pronti per l’indipendentismo. Crede tuttavia che si possono rosicchiare porzioni di autonomismo non esercitato?

Assolutamente sì. Molto più che autonomismo. Ciò che potrebbero fare a Cagliari, sede del governo dell’Isola, è prendersi tutto lo spazio necessario nelle materie in cui la competenza locale è concorrente a quella dello Stato. E naturalmente sfrutturare appieno lo Statuto speciale. Ma manca totalmente la volontà politica.

Tornando al tema Fer. A livello nazionale è nata la Coalizione articolo 9 che raggruppa, per ora, ventuno associazioni ambientaliste, tra cui il Grig presieduto da Stefano Deliperi. Il cartello verde chiede di stralciare dal decreto Semplificazioni tutte le norme che riguardano l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici nei territori agricoli, collinari, montani. È una battaglia da sostenere?

Italia nostra Sardegna è prima firmataria di una moratoria a contenuto simile, a cui ha aderito anche il Grig. C’è un dialogo aperto. L’iniziativa è sostenuta anche da Lipu, Copagri, Usb e Cagliari social forum. Ho firmato anch’io, da sindaco di Villanovaforru. L’obiettivo è chiedere che la costruzione dei nuovi impianti avvenga solo in aree già compromesse, non su terreno agricolo. E, in attesa di tale scelta, che venga sospesa l’autorizzazione degli oltre 100 nuovi impianti.

È fiducioso lei?

La fiducia c’entra poco. Ci sono faccende che bisogna portare avanti e lo facciamo. Ci sono cose alle quali non è possibile non ribellarsi, ci sono processi socio-economici a cui è doveroso opporsi. La trasformazione dell’Isola in colonia economica va combattuta. È una questione di impegno civico, che dovrebbe accomunare proprio tutti, a prescindere dallo schieramento di appartenenza. Non credo ci sia vantaggio per nessuno nel vedere porzioni di Sardegna coperte di pale eoliche e pannelli solari.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twittder)

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