«Dietro la cessione della Sardaleasing ai modenesi della Bper c’è un pericoloso incesto tra la Fondazione Banco di Sardegna e la stessa Banca popolare per l’Emilia Romagna, e per incesto intendo un rapporto anomalo sul quale la Regione ha il dovere di fare chiarezza, nell’interesse dei sardi». Così Paolo Fadda, storico amministratore del Banco dal ’68 all’88, sintetizza l’operazione con la quale la Bper, azionista di maggioranza dell’istituto di credito isolano dal 2001, ha inghiottito la Sardaleasing che ha trasferito a Milano il suo quartier generale. La fusione, fiscalmente effettiva dal 1° aprile, si concluderà il 23 giugno (salvo rilievi dei sindacati). Fadda, sul tema, è già intervenuto nelle scorse settimane.
Dottore, cominciano dagli assetti societari. Nel marzo di tredici anni fa, la Bper acquisisce il controllo del Banco di Sardegna prendendo in mano il 51,209 per cento delle azioni. La spinta per un partner forte arriva niente meno che dall’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.
«Questo per via della legge Amato-Carli che, nel ’90, ha introdotto nell’ordinamento italiano le Fondazioni bancarie. Ovvero, società miste alle quali è stata trasferita la proprietà degli istituti di credito pubblici, ma col vincolo che detenessero solo una quota minoritaria del capitale. Da lì l’ingresso della Bper nel Banco di Sardegna, di cui la Fondazione è azionista per il restante 48,714 per cento».
Perché sulla cessione della Sardaleasing parla di incesto tra Fondazione e Bper?
«Sino a un mese fa, la Fondazione controllava la Sardaleasing attraverso la partecipazione del Banc0, pari al 91,16 per cento. Adesso le quote sono scese al 45,22, fino a 44.052.801,50 euro. E il Banco, da socio quasi unico che era, si ritrova ancora una volta in minoranza in uno dei suoi attivi più importanti».
Il nuovo destino della Sardaleasing è stato scritto nel Piano industriale 2012-2014 della Bper. Il piano ha previsto una serie di complicati passaggi che partono dalla fusione tra la finanziaria sarda e la gemella modenese, la Abf. Chi ci ha guadagnato di più?
«Non certo i sardi e la Sardegna. Anzi. Al 31 marzo 2014, il capitale sociale della Sardaleasing ammontava a 51,65 milioni, quello della Abf era di 7,8 milioni. La fusione ha comportato per la Sardaleasing l’emissione di 819mila nuove azioni per complessivi 42.301.350 euro. Queste azioni sono state assegnate alla Bper in cambio dell’intero pacchetto azionario Abf, valutato 42.588.000 euro. Ma non è finita. Il Banco ha poi ceduto altre azioni alla Bper, affinché raggiungesse il 51 per cento di quote: vuol dire 47.915.188,50 euro a fronte del valore totale del nuovo capitale, pari a 93.951.350 euro».
Quali sono gli altri soci della Sardaleasing?
«Sino alla fusione, la Sfirs (il braccio finanziario della Regione) era il secondo azionista al 2,96 per cento. Seguiva la Leasinvest spa allo 0,80 per cento e le Camere di commercio di Cagliari (0,07 per cento) e Nuoro (0,01). Per questo mi aspetto che la Giunta in carica prenda una posizione netta su questa strana fusione detta per incorporazione».
Perché strana?
«L’intera operazione, come scritto in modo esplicito nel progetto, non prevede esborsi in denaro. In definitiva, è un baratto, letteralmente: si dà una cosa e se ne riceve un’altra in cambio. Talvolta, come in questo caso, in modo diseguale. Con l’aggravante che in Sardaleasing il Banco di Sardegna vede diminuire il suo capitale di 3.031.338,50 euro, da 47.084.140 a 44.052.801,50. L’istituto di credito sardo viene privato della piena proprietà di uno degli strumenti più qualificanti e incisivi del suo sistema creditizio. A mio giudizio, la fusione, che contabilmente può essere anche corretta, è strana e politicamente errata, perché penalizzante per l’economia della Sardegna».
Il management del Banco e quello della Fondazione hanno uguali responsabilità?
«Certamente no».
Chi ne ha di più?
«Indubbiamente la Fondazione, la più interessata a conservare il valore delle sue partecipazioni nel Banco di Sardegna, pari a 352.158.298,57 euro, circa 4,6 volte il nominale. Ma dopo la cessione della Sardaleasing, io mi domando se questo valore, al di là degli abili artifici contabili, sia tuttora lo stesso. O, più realisticamente, per la Fondazione non si sia determinata una minusvalenza patrimoniale. Un danno che forse imporrebbe di correggere quei 352 milioni».
Dietro questa fusione per incorporazione cosa si potrebbe nascondere?
«Al di là degli intenti formali scritti nel Piano industriale della Bper, dove si parla di ottimizzare i requisiti patrimoniali di Vigilanza, io trovo che a costo zero la Bper si sia rinforzata patrimonialmente, così da ridurre a 750 milioni, rispetto ai 900-1.000 inizialmente stimati, la propria ricapitalizzazione. E l’artificio, ottenuto senza sborsare un solo centesimo, ha permesso ai modenesi di non sforare i parametri imposti dalla Bce agli istituti di credito europei».
Il management sardo che interesse avrebbe avuto a svendere la storica banca dell’Isola?
«Ripeto: spetta alla Giunta fare chiarezza. Perché la Fondazione amministra e custodisce beni che sono di tutti i sardi. Negli anni Ottanta, il Banco di Sardegna era primo in Italia per performance, come ad esempio il rapporto tra crediti e utili. La classifica venne stilata dalla prestigiosa rivista Il Mondo. Oggi ci ritroviamo davanti a un’operazione il cui punto di equilibrio sta nel rapporto di 1 a 5,46 fra le azioni della Sardaleasing e quelle della Abf. A me pare equilibrismo contabile, più che altro. La quotazione sarebbe stata decisa da un advisor indipendente, ma di cui non si fa il nome. Né sono indicati, nei documenti ufficiali, i criteri utilizzati per valutare le due società che, a leggere storia e profili finanziari, parrebbero molto diseguali. Nella graduatoria 2012 di Assilea, l’Associazione italiana leasing, la società sarda è al 17° posto, la Abf al 20°».
Alessandra Carta
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