La bomba ecologica di Portovesme: industria fondata sull’inquinamento

Metalli pesanti, idrocarburi e residui di lavorazione nei suoli e nelle falde acquifere. È l’eredità – in parte in fase di bonifica – che le industrie metallurgiche hanno lasciato nei terreni dell’area industriale di Portovesme. L’inquinamento è emerso nel corso dei vari studi compiuti a partire dal 2004, quando è iniziato il percorso per la messa in sicurezza dei  luoghi. Ovvero quarant’anni dopo l’avvio dell’attività produttiva, cominciata negli anni Sessanta. Questo articolo è la seconda puntata di uno speciale che Sardinia Post dedica al Sulcis (qui la prima).

L’elenco dei materiali presenti oltre le soglie consentite dalle norme viene indicato nella ‘Relazione sulle bonifiche nei siti di interesse nazionale’, predisposta dalla ‘Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati’. È stata trasmessa il primo marzo 2018. Il documento spiega che nell’area industriale di Portovesme “la falda superficiale risulta diffusamente interessata da uno stato di contaminazione caratterizzato dalla presenza di metalli pesanti e composti organici nonché alterazioni del ph e della conducibilità”. Ossia, i riferimenti utilizzati per misurare la salubrità dell’acqua. Inoltre la zona occupata dagli stabilimenti produttivi “si caratterizza per valori elevati di cadmio, mercurio, piombo, zinco, ipa (idrocarburi), ferro, manganese, composti organo-clorurati e organo-alogenati”. Nella relazione viene poi indicato ciascun caso. Anche perché uno degli obiettivi delle bonifiche è evitare l’estensione ulteriore dell’inquinamento attivando percorsi di prevenzione.

Portovesme srl. Nell’azienda che produce piombo, zinco, argento, rame, oro e acido solforico, la verifica sullo stato di inquinamento dei suoli ha messo in evidenza la presenza di elementi che superano le soglie di contaminazione. Si tratta di antimonio, arsenico, cadmio, mercurio, piombo, rame, selenio, stagno, tallio e zinco. In particolare “hanno mostrato il maggior numero di superamenti” rispetto ai livelli consentiti “il cadmio, lo zinco e il piombo: per tali elementi è possibile riconoscere una presenza sufficientemente distribuita su tutte le aree di stabilimento”. L’esame delle acque di falda, effettuato attraverso quarantasette rilevatori, ha permesso di evidenziare la presenza di “alluminio, antimonio, arsenico, berillio, cadmio, cobalto, ferro, fluoruri, manganese, mercurio, nichel, piombo, rame, selenio, solfati, stagno, tallio, zinco”. Dal 2012 sono iniziati gli interventi di messa in sicurezza, oltre quelli di bonifica.

Alcoa. Nelle aree di pertinenza della multinazionale americana i lavori di caratterizzazione, cioè l’esame sulla qualità dei terreni, hanno permesso di rilevare, con “superamenti della soglia di contaminazione”, la presenza di idrocarburi, cadmio, fluoruri, mercurio, piombo, selenio solfati. Sino al 2012, quando la fabbrica è stata chiusa, Alcoa produceva alluminio primario dalla lavorazione dell’allumina e nel 2018 ha ceduto gli impianti alla svizzera Sider Alloys.

Eurallumina. Nell’area della raffineria che produceva (sino alla fermata nel 2009) allumina ricavandola dalla bauxite, la mappatura dell’inquinamento ha interessato cinque aree e permesso di evidenziare “una diffusa contaminazione superficiale da arsenico, cadmio, cobalto, rame, nichel, piombo, zinco, vanadio, mercurio e antimonio”. Sullo stato qualitativo della falda è stata riscontrata la presenza fuori misura di “alluminio, arsenico, benzo(a)pirene, cadmio, ferro, fenolo, fluoruri, idrocarburi, nichel, piombo, solfati”. Dal 2009 sono in corso attività di messa in sicurezza e percorsi di bonifica.

Enel. Nei terreni della centrale termoelettrica Portoscuso (Cte) la caratterizzazione ha messo in evidenza una “diffusa presenza di arsenico, cadmio, mercurio, piombo, selenio e zinco”. Quasi tutti i superamenti, si legge nella relazione, sono stati registrati nella superficie dei suoli. La centrale, proprietà dell’Alsar e poi passata all’Alcoa, è stata costruita per la fornitura di energia elettrica necessaria alla produzione di alluminio primario. Venne acquisita dall’Enel nel 1987.

Ligestra. Nell’area ex Alumix, dove c’è una discarica di circa 38mila metri quadrati cui si aggiungono spazi per altri 60mila, si lavora alla bonifica con un progetto definitivo già dal 2001. Gli interventi di risanamento riguardano proprio la discarica, dove nei primi ottanta centimetri di suolo è stata rilevata “una contaminazione da piombo, zinco, cadmio, idrocarburi, oliminerali totali e fluoro“. Quest’ultimo, in particolare, è presenti con “livelli di inquinamento che raggiungono concentrazioni fino a 400 volte il limite normativo”. Nei 60mila metri quadrati esterni “la contaminazione riguarda piombo, zinco, cadmio, idrocarburi, fluoro e oli minerali”. Sono stati rilevati metalli pesanti e idrocarburi anche nella falda. I terreni sono oggi di proprietà di Ligestra Due (Gruppo Fintecna, la società per azioni della Cassa depositi e prestiti).

La vita del polo industriale di Portovesme non si esaurisce qui. La mappa sulle aree da bonificare non è finita solo negli atti parlamentari ma anche al centro delle numerose conferenze di servizi che si sono svolte nel corso degli anni. Attività propedeutiche agli interventi di risanamento che prevedono investimenti per oltre 240 milioni di euro, a carico delle aziende, e di cui ci occuperemo nella terza e ultima puntata.

(2 – continua)

Davide Madeddu

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