In Sardegna è incubo spopolamento: “Nel 2065 solo un milione di abitanti”

Una terra destinata allo spopolamento. È la Sardegna proiettata nel 2065. Tra poco meno di cinquant’anni l’Isola si troverà ad avere soltanto 1.181.774 abitanti, esattamente 466.402 in meno rispetto agli attuali 1.648.176. La previsione è contenuta nel rapporto ‘L’economia e la società nel Mezzogiorno’ appena pubblicato dallo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, e presentato oggi alla Camera.

Il divario tra nord e sud Italia, il mercato del lavoro, l’occupazione e il raffronto con gli altri Stati europei sono alcuni tra i principali temi trattati nel documento. A leggere i dati quello più preoccupante per la Sardegna riguarda la dinamica della popolazione. “In un’Italia, che è tra i paesi più vecchi al mondo, il Mezzogiorno si trova ad affrontare una delle crisi demografiche più profonde e durature tra i paesi del mondo occidentale. Nel corso dei prossimi 50 anni il sud perderà 5 milioni di residenti”. Tra questi anche tantissimi sardi.

A incidere sulla diminuzione della popolazione un tasso di crescita naturale, cioè la differenza tra la percentuale di nascite e morti, negativo. A fronte di un tasso di natalità pari a 5,7 quello di mortalità è di 9,9. Il fenomeno è condizionato anche dall’emigrazione, in particolare dalla fuga di tanti giovani. “La consistente perdita dei giovani laureati – si legge nel rapporto – assume un rilevo maggiore in Basilicata e in Abruzzo, rispettivamente il 33,9% e il 35,0%. Nelle altre regioni  la quota dei laureati che si trasferisce al centro-nord supera sempre il 30% con l’eccezione della Campania (29,1%) e della Sardegna (28%)”.

Il mercato del lavoro è un altro degli aspetti presi in considerazione dalla ricerca. L’Isola negli ultimi anni ha fatto meglio di altre Regioni italiane del sud: “L’occupazione, nella media dei primi due trimestri del 2019, è in calo in Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia, mentre cresce sensibilmente in Molise, Puglia, Basilicata e, soprattutto, Sardegna. Misurando la differenza con il 2008, e dunque gli effetti prodotti dalla lunga recessione, i livelli  occupazionali a fine 2018 erano ancora molto distanti da quelli pre-crisi in quasi tutte le regioni: – 7,8 per cento in Sicilia, di poco meno in Calabria (- 5,7), Molise (- 5), Puglia (-4,6), Basilicata (-3,6), Sardegna (-3,3) e Abruzzo (-2,4). Solo la Campania si colloca su valori intorno a quelli del 2008 (-0,4%)”.

Per quanto riguarda l’andamento dell’economia più recente, il quadriennio 2015-2018 pur confermando che “la debole ripresa degli anni scorsi” ha riguardato quasi tutte le regioni italiane, mostra andamenti molto diversi a livello territoriale. “Il grado di disomogeneità, sul piano regionale e settoriale, è estremamente elevato nel sud. Nel 2018, Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni meridionali che hanno fatto registrare il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7 per cento, +1,3  e +1,2.  La Sardegna, uscita con qualche incertezza dalla fase recessiva rispetto al resto delle regioni meridionali, segna +1,2 per cento, dopo l’andamento negativo del prodotto nel 2016 (-1,9) e la ripresa fatta registrare nel 2017 (+1,8). Sono in particolare i servizi a trainare la “ripresina” (+1,2%), ma vanno bene anche l’industria in senso stretto (+0,8%) e i servizi (+1,4%), mentre l’agricoltura è inchiodata a zero”.

Andrea Deidda

andrea.deidda@sardiniapost.it

[Foto di copertina: Gianluca Vassallo]

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