Al via la corsa al metano. E agli incentivi di Stato

Uno, due, tre? Quanti saranno, dove sorgeranno, chi costruirà – e con quali soldi – i rigassificatori di Sardegna? In ordine di tempo, l’ultima candidatura l’ha presentata l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi durante il recente incontro romano con il presidente della regione Francesco Pigliaru. Difficile, d’altra parte, non collegare “la volontà di investire in Sardegna per superare il gap di competitività determinato dai costi dell’energia” manifestata dal numero uno del cane a sei zampe al proposito di costruire e gestire uno o più rigassificatori nell’isola. “Col gas il risparmio è assicurato”, ripetono ormai da tempo i politici isolani, insieme a sindacalisti – forse i primi a far squillare i tromboni – e industriali. E non a caso si fanno avanti grandi o piccoli player interessati alla realizzazione dei giganti di ferro e acciaio che riportano allo stato gassoso il metano liquido scaricato dalle navi cisterna. Ma non potrebbe essere diversamente: realizzare e gestire un rigassificatore è un affare molto remunerativo. Specie se a pagare sono gli utenti della rete del gas. In bolletta.

Non vendi? Eccoti i soldi degli utenti

Ottantatre milioni di euro, tanto costerà ai consumatori il rigassificatore Olt Lng Toscana di Livorno nel 2015, secondo le stime dell’Autorità per l’energia e il gas (Aeeg). L’onere, raddoppiato rispetto all’anno scorso, andrà a ingrossare il portafoglio di E.on e Iren, proprietarie dell’impianto off-shore della capacità 3,75 miliardi di metri cubi di gas inaugurato nel 2013, ma rimasto a lungo inattivo. Almeno fino all’inizio del 2014, quando il Tar della Lombardia ha stabilito che al rigassificatore andava corrisposto il cosiddetto “fattore di garanzia”, in pratica un incentivo statale che garantisce la copertura dei ricavi anche quando l’impianto non rifornisce la rete. E che può arrivare fino al 71,5% degli introiti ottenibili con la vendita del gas immagazzinato. In altri termini, un business assicurato, cui E.on e Iren accedono in virtù dell’etichetta di infrastruttura strategica apposta dal governo sull’impianto di loro proprietà. Naturale, dunque, che il fattore di garanzia faccia gola anche a chi sgomita per realizzare i rigassificatori sardi. Così com’è lecito aspettarsi che l’accesso al contributo sarà una delle prime questioni ad approdare sul tavolo del Mise.

Oggi, però, c’è chi contesta l’incentivo statale: il Movimento 5 stelle ha infatti sollecitato la Commissione europea affinché venga aperta una procedura d’infrazione per verificare l’esistenza di comportamenti lesivi dei diritti dei consumatori.

Consumi in calo, nuovi incentivi in arrivo

“Giocati” contro gli accordi take-or-pay siglati dal governo Berlusconi con la Russia di Putin nei primi anni 2000, contratti di lunga durata in base ai quali l’importatore è obbligato a pagare il volume di gas concordato nel contratto nonostante il possibile calo dei consumi (da qui il nome del contratto “prendi o paga”), i rigassificatori italiani non hanno goduto di grande fortuna. La crisi, l’incremento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e un generale aumento delle temperature hanno infatti determinato il drastico calo dei consumi di gas. Dati alla mano, si è passati dai 69,5 miliardi di metri cubi nel 2013 ai 65 del 2014 ossia 12 miliardi in meno rispetto al non lontano 2011. Da qui ‘l’esigenza’ di remunerare gli investimenti di quelle società che, pur avendo realizzato gli impianti, non hanno utilizzato le ingenti quantità di gas stoccato. Questa, almeno, è la versione ufficiale che ha accompagnato la nascita del fattore garanzia, escogitato dopo che il gas stoccato dal terminale realizzato al largo di Rovigo da ExxonMobil e dalla società di stato del Qatar, partecipato anche da Edison, è rimasto a lungo nelle cisterne, invenduto.

Gli incentivi del ricco mondo del gas non finiscono con il fattore garanzia. A luglio dello scorso anno il governo ha infatti rispolverato il capacity payment. Sospeso e reintrodotto più volte dal 2003 ad oggi. In questo caso, beneficiano degli incentivi (una torta da circa 600-700 milioni di euro l’anno) le centrali termoelettriche alimentate a gas e/o carbone, anch’esse colpite dalla diminuzione dei consumi di energia elettrica. In modo particolare, a questo salvagente si aggrapperà la Sorgenia del gruppo De Benedetti, due miliardi di debiti in bilancio che espongono soprattutto la banca Monte dei Paschi di Siena.

Il metano nuoce all’ambiente. Lo dice il Cnr

Insomma, dopo i miliardi di euro pagati in bolletta dai consumatori per sostenere la produzione di energia da fonti assimilate alle rinnovabili (è il caso degli incentivi Cip6 che nell’equiparare gli scarti di raffinazione del petrolio al vento o alla luce del sole hanno fatto la fortuna della Sarlux, beneficiaria di oltre 400 milioni di euro nel 2011), l’arrivo del gas potrebbe inaugurare una nuova stagione di contributi statali. Inoltre appare chiaro che l’arrivo del nuovo combustibile non comporterà benefici apprezzabili a livello ambientale se “il 44% dell’effetto serra è dovuto direttamente al gas metano – come sostengono i ricercatori del Cnr – che è dunque 25 volte più potente dell’anidride carbonica”.

Ci servirà davvero?

Rimane, infine, da interrogarsi sull’effettiva necessità di far arrivare il gas in Sardegna, dove già si produce il 43% in più dell’energia consumata in loco (dati Terna 2013) e, in termini di Mwe, la potenza degli impianti da fonti rinnovabili comincia ad essere ragguardevole. E dove, nonostante tutto, il gpl potrebbe anche rappresentare un’alternativa al gas metano.Se solo non avesse in Italia un prezzo pari al doppio del valore di mercato. Nel 2010 fu proprio l’Eni a scoperchiare il vaso, rivelando le magagne del gpl all’Authority. Magari nel 2020 toccherà alla Saras dire che qualcosa non va col metano. In una terra di lobby e oligopolisti litigiosi, potrebbe anche capitare.

Piero Loi

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