Un mese senza cibo, quindici chili in meno, il corpo tenuto in piedi solo con acqua e caffè: fu con un duro sciopero della fame che Raffaele Cutolo, boss indiscusso della Camorra originario di Ottaviano, in provincia di Napoli, trent’anni fa ottenne il trasferimento dal carcere dell’Asinara in una struttura della penisola.
Un ricatto a cui in un primo momento lo Stato non voleva cedere: era il 1987 e Cutolo si era reso protagonista di una serie praticamente infinita di reati, omicidi, evasioni sanguinose. Riavvicinarlo al suo ambiente avrebbe significato riallacciare quei pericolosi contatti criminali che nell’isola si erano interrotti.
Anni prima aveva dato vita alla Nco, la nuova camorra organizzata, da cui aveva preso inizio una nuova escalation di violenza feroce: un migliaio di omicidi legati alla camorra tra il 1980 e il 1982 avevano portato il presidente della Repubblica Sandro Pertini a chiedere la riapertura eccezionale del super carcere dell’Asinara per custodire in isolamento il pericoloso boss.
Un’isola-carcere tutta per lui, finalmente lontano dai suoi affiliati, solo e impotente. In quell’isola riceveva solo le poche visite dei familiari e qui, con una cerimonia celebrata dal cappellano del carcere, si era unito in matrimonio con Immacolata, la donna che restò sempre al suo fianco nonostante una detenzione infinita. Nell’agosto 1987, cinque anni dopo il suo arrivo all’Asinara, Raffaele Cutolo scrisse una lettera al Ministro di Grazia e giustizia Giuliano Vassalli: l’isolamento è troppo duro, il trattamento disumano, la cella umidissima. “Vengo tenuto in condizioni che contrastano non solo con lo spirito della riforma carceraria, ma con i più elementari principi civili – scrisse in un documento inviato ad un amico, citato sulle pagine del Corriere della Sera dell’11 giugno 1987 . – Ho vissuto in altri regimi severi impostimi nelle celle di massimo rigore ricavate nelle cantine delle galere italiane, ma mai sono stato trattato peggio di una bestia come avviene all’Asinara”.
L’avvocato di Cutolo, il sassarese Agostinangelo Marras, portò la richiesta del suo assistito a Giovanni Falcone, allora consigliere della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena. “Lo Stato non cede ai ricatti e non tratta finché il camorrista persiste nello sciopero della fame”, la risposta di Falcone. Dopo 17 giorni senza cibo il boss stremato fu trasferito a Buoncammino per le cure, e qui decise di sospendere la protesta. Fu detenuto ancora qualche settimana nel carcere cagliaritano e poi tornò nella penisola. Da qui altri processi, nuove carceri, nuove pene e nuovi scioperi della fame: attualmente sta scontando ben 13 ergastoli.
Raffaele Cutolo oggi ha 76 anni, 35 li ha passati in isolamento, 23 in regime di 41 bis. “Mi hanno sepolto vivo in cella”, ha detto qualche anno fa ai giornalisti.
Francesca Mulas
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