Racket pompe funebri, per il Gip “pericolo di reiterazione del reato”

Lavoravano negli ospedali Brotzu, Santissima Trinità, Marino, San Giovanni di Dio e Businco, le strutture sanitarie sono tutte parti lese, i 20 necrofori finiti agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione Caronte condotta dai carabinieri sul ‘caro estinto’. Nelle 303 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, firmante dal Gip, Giampaolo Casula, su richiesta del pm Giangiacomo Pilia, vengono elencati i numerosi episodi in cui i necrofori hanno ricevuto somme di denaro dalle oltre 40 agenzie funebri su cui venivano indirizzati i familiari dei defunti per i funerali. Ma non solo, vengono anche riportate le dichiarazioni spontanee del titolare di una agenzia funebre che, in qualche modo, riassumono tutta la vicenda. “Nell’ambiente funerario è diffusa la consapevolezza che molti funerali vengano appaltatati, per intercessione favorevole o sfavorevole dei necrofori. Noi siamo un’agenzia molto piccola, ma ogni qualvolta abbiamo a che fare con i necrofori, diamo loro una mancia di 30-40 euro, ed i necrofori in cambio ci aiutano vestendo la salma: così è la prassi”. Una consuetudine che i venti arrestati hanno continuato anche dopo aver capito che erano in corso le indagini, addirittura fino ai primi mesi del 2016. Secondo il Gip “sussiste certamente il pericolo di reiterazione di analoghi delitti. Non v’è dubbio che dalla descrizione degli innumerevoli fatti di induzione indebita e di falso in atto pubblico, nonché delle vicende truffaldine e di quelle di peculato &ndash scrive il giudice – emerge un contesto delinquenziale di non poco conto”. L’attività era ancora in corso sino al momento delle ordinanze: “attività che è necessario smantellare al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa”.

Leggi anche: Il racket delle pompe funebri: necrofori “tuttofare” negli ospedali di Cagliari

Il racket delle pompe funebri: affari per mezzo milione di euro, 168 indagati

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