Perché la Barbagia non conosce il delitto passionale. La parabola di ziu Africanu (di Maria Giovanna Fossati)

L’educazione barbaricina insegna a dominare le passioni. Qualunque passione, sia nel rapporto di coppia che nei rapporti sociali. Usare violenza con la propria moglie è sempre stato proibito. Chi osava infrangere questa regola veniva condannato dal paese, tanto che si racconta che quando un uomo veniva ucciso per aver ripetutamente maltrattato la moglie la comunità non riteneva quel delitto riprovevole.

Francesco Rocca, il dentista di Gavoi accusato di aver ammazzato sua moglie, è figlio di questa società, possiede i suoi geni e ha respirati i suoi codici, per questo è difficile per la comunità accettare l’idea che un’azione del genere – con l’aggravante dell’aver assoldato un killer minorenne esponendolo al dramma – possa essere stata compiuta da lui: professionista rispettato, figlio di una famiglia possidente e con solide relazioni dentro e fuori Gavoi.

Rocca, stando agli della procura, avrebbe compiuto il femminicidio perché una separazione dalla moglie (i due da tempo non andavano più d’accordo) avrebbe potuto intaccare il suo cospicuo patrimonio. Insomma, il delitto di Dina Dore – secondo l’ipotesi dell’accusa – non è stato commesso per gelosia, come succede nella maggior parte dei casi di femminicidio in Italia, ma per denaro.

Una storia tragica che conferma quanto racconta la Storia: il delitto passionale in Barbagia non esiste, come se la gelosia fosse un sentimento quasi sconosciuto. La ragione la si può ricercare nei ritmi della vita quotidiana, scanditi dal lavoro, dalle stagioni, dai rapporti sociali. Nella società agropastorale l’uomo viveva fuori casa sei mesi l’anno, la donna nel rapporto matrimoniale ha sempre goduto di massima libertà: era l’angelo del focolare, gestiva la conservazione e la vendita dei prodotti della campagna, faceva le commissioni, curava i rapporti con gli uffici.

L’adulterio era un evento raro. Non che non avvenisse e non nascessero passioni adultere. In un luogo dove uno dei due partner è lontano da casa sei mesi l’anno può capitare, così come può capitare, allo stesso modo, che il maschio cada in tentazione. Il punto fermo, in una situazione di questo tipo, è salvaguardare il decoro, non umiliare il partner e la famiglia. Tanto che vige il detto pro una vorta no es hurrudu s’omine (per una volta non è cornuto l’uomo). Al tradimento ci si può passare sopra se è vissuto lontano da occhi indiscreti, ma non si può passare sopra comportamenti indecenti che gettano discredito sulla famiglia e sul partner.

Per la donna sola in casa durante le trasferte del marito c’è il controllo della comunità. Per questo non può dare adito con il proprio comportameno a dicerie. La comunità è un alleato di ferro per il marito. Essa lo mette al riparo dal sentimento della gelosia. Chi prova questo sentimento in maniera plateale non è considerato uomo.

E’ capitato che uomini o donne sposate, abbandonassero il tetto coniugale per scegliere una convivenza fuori dal matrimonio. Un comportamento che viene fatto pesare dal paese, ma che può arrivare ad essere accettato se la nuova coppia riesce a dimostrare che si tratta di una convivenza seria.

Nel mio paese ho conosciuto casi di famiglie allargate, nel senso più “pericoloso” del termine: vivevano sotto lo stesso tetto moglie, amante e marito. Quest’ultimo, scalzato dall’amante, si è rassegnato alla nuova vita familiare, in cui le attenzioni della moglie nei suoi confronti si limitavano all’accudimento.

A Orgosolo non c’è adulto, giovane o bambino che non abbia sentito parlare della storia di ziu Africanu (così chiamato perché reduce della guerra in Africa). Una storia successa nei primi anni Trenta che può essere considerata l’emblema della “non propensione sociale alla gelosia”.

Ziu Africanu prende in moglie Carmina Cuccu. La loro luna di miele dura poco, lui viene arrestato per un furto di cavalli. Mentre il marito è in carcere, Carmina si innamora di un bel ragazzotto del posto e dalla relazione nasce un bambino. Quando ziu Africanu esce dal carcere, c’è un paese intero col fiato sopseso, si teme possa compiere un atto inconsulto. Ma lui, venuto a sapere della nuova situazione, si sistema da un’altra parte senza mai dire una parola in più su quelle che era diventata ormai la sua ex moglie. Anzi, imputa le colpe a se stesso: Si non fudu istau dae curpa mea hustu non bi udu istau suzzessu (se non fosse stato per colpa mia questo non sarebbe successo).

Carmina muore pochi annni dopo il parto e viene seppellita senza funerale in quanto peccatrice. ”L’amante-vedovo” di Carmina si trova a dover crescere da solo il bambino, ma una notte d’inverno viene ammazzato per errore. Gli assassini vanno da ziu Africanu millantando il delitto d’onore, gli dicono che hanno voluto vendicarlo di ciò che aveva subito, ma in realtà è il loro piano per tentare di evitare il carcere: “Oje di c’amus sehau sos horros” (oggi ti abbiamo tagliato le corna) . “Atteru e horros, m’azzese apertu sas jannas de galera” (altro che corna, mi avete spalancato le porte del carcere) risponde lui che fiuta la trappola. E’ così è stato, ziu Africanu sconterà una pena lunghissima in carcere, anche se la sua incredibile vita gli riserva persino un matrimonio felice negli ultimi anni.

La storia di ziu Africanu dice meglio di un trattato di antropologia che il delitto passionale in questa società non è mai esistito. Con qualche eccezione negli ultimi anni: dal 1995 a oggi ci sono stati quattro femminicidi, tre per questioni di denaro, solo uno per motivi passionali. Una media bassa rispetto ai numeri agghiaccianti di altre province d’Italia. Ma in un’epoca di valori standardizzati c’è da temere che le cose anche qua comincino a cambiare. In peggio.

Maria Giovanna Fossati

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