Quando il 20 luglio scorso il dirigente dell’Arpas Massimo Cappai ha illustrato i primi risultati dell’indagine preliminare sul Poligono di Teulada alla ‘Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito’, si è soffermato (anche) sul problema dei rifiuti presenti all’interno dell’area. E soprattutto, ha raccontato ciò che ha visto durante un sopralluogo nella cosiddetta zona Alfa, l’istmo che collega l’area Delta, ovvero la “famigerata” penisola interdetta, “alla baia di Zafferano”.
Bonificare la zona Delta? È pericoloso. E antieconomico
Sulla carta il suo nome è Capo Teulada “ma ormai tutti la conoscono come penisola interdetta – ha detto Cappai – perché utilizzata per esercitazioni a fuoco mai sfociate in una bonifica degli ordigni inesplosi”. L’area nel corso dei decenni è stata così “utilizzata sempre e comunque per accumulare materiale inesploso e chiaramente era estremamente pericoloso entrare nella penisola”. Questo ha portato “le autorità del Comando del Poligono – ha aggiunto il dirigente dell’Arpas – a definire l’area – forse per comodità, forse no – come una zona nella quale non valeva più la pena di eseguire bonifiche, perché fondamentalmente interrompere un’esercitazione militare per recuperare un ordigno inesploso è un’operazione complessa, che comporta l’interruzione delle esercitazioni, quindi probabilmente negli anni questa valutazione fondamentalmente economica ha prevalso su tutti gli altri aspetti”.
“Crateri larghi 10 metri e profondi 4, missili Milan, Tow e bombe degli anni ’50”
“Cosa si trova sul campo? Oggetti inesplosi, mortai, segnalazioni di ritrovamenti di missili Milan come il tracciatore (contenente torio 232, ndr) – ha detto Cappai – cumuli di rifiuti, diverse bombe d’aereo lunghe quasi 2 metri, missili Tow simili ai Milan ma senza la parte radioattiva. Abbiamo visto una bomba degli anni ’50 inesplosa del peso di circa 900 libbre (circa 400 chili, ndr). Si trovano anche delle buche molto grandi, del diametro di circa 10 metri e profonde 3-4 metri che probabilmente derivano da esplosioni stimate intorno ai 500-600 chili di tritolo, l’equivalente dell’esplosione di Capaci”. Ancora, vi sono numerosi “residui di oggetti radioattivi, dispersi nel terreno, residui dei missili Milan”. Inoltre, “ci stiamo ancora chiedendo dove siano finiti 2.700 missili Milan sparati fuori dalla penisola Delta e tutti gli altri che invece sono finiti in penisola”. Tutte risultanze che stridono con quanto dichiarato sulle attività dei poligoni dal Sottocapo di Stato maggiore dell’Esercito, Giovan Battista Borrini, in occasione della firma di un protocollo sulla tutela dell’ambiente con l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il 18 aprile scorso: “Tutti questi danni, sono sicuro, noi non li facciamo”.
Nell’area Alfa recuperate finora 5 tonnellate di rifiuti
Se l’area della penisola è off limits, lo si deve all’elevata pericolosità della zona. E lì, “i rifiuti sono presenti in numero eclatante”. Cappai ha ricordato che la Procura di Cagliari indaga sull’area del poligono da diversi anni e nel 2014 ha scritto al ministero della Difesa “chiedendo di avviare immediatamente delle attività di bonifica” nella zona Delta. La risposta è stata semplice: entrare in quella zona è molto pericoloso. Ma i militari “hanno dimostrato la buona volontà di produrre un piano di indagine ambientale”, avviato due anni fa a cominciare dalla zona Alfa. Finora sono stati aperti 5mila metri di corridoi di sicurezza “e sono state recuperate 5 tonnellate di rifiuti e 23 residui di tracciatori Milan”, ha detto Cappai. È in questa zona che oggi sono state rilevate soglie di metalli pesanti vicine ai limiti di legge, innalzati fino a 100 volte nel 2014 con il via libera al disegno di legge ‘Competitività’ proposto dal Governo Renzi. Rilevati, in ogni caso, superamenti dei livelli di “cadmio, piombo, rame e stagno per quanto riguarda i limiti per le aree di tipo agricolo e residenziale”.
Nel Poligono non c’è un esperto per la gestione dei rifiuti radioattivi: “Non ci sono fondi”
Un elemento cruciale riguarda i residui radioattivi, che non sono solo quelli legati all’uso dei missili Milan, “ma all’interno del poligono c’erano e ci sono ancora diverse sorgenti radioattive, e sono ancora lì, quindi abbiamo cercato di capire meglio come fossero gestite – ha detto Cappai -. Abbiamo promosso e richiesto con forza l’attribuzione dell’incarico di esperto qualificato per la gestione dei rifiuti e di tutte le sorgenti radioattive presenti nel poligono. È un incarico che in teoria sarebbe stato svolto dal Cisam (Il Centro interforze studi e applicazione militari, ndr) che però, avendo poche risorse, lo faceva quando poteva, quindi non c’era la possibilità di avere un interlocutore diretto sul posto per quanto riguarda la gestione dei rifiuti radioattivi”.
Pablo Sole