Industria del fluoro e ambiente. Docufilm d’inchiesta riparte dallo scandalo di Macchiareddu

In Sardegna si torna a parlare del caso Fluorsid. Il documentario Chemical Bros di Massimiliano Mazzotta si concentra sull’industria del fluoro partendo proprio da Macchiareddu, dove nel 2017 uno scandalo ambientale fece tremare la società del presidente del Cagliari Tommaso Giulini. 

Un breve estratto del docufilm, in uscita a marzo 2022, è stato presentato oggi al Carbonia film festival. L’indagine di Mazzotta prende spunto  da alcuni documenti ricevuti da un cittadino e parte proprio dal basso, dalle interviste ad agricoltori e pastori che lavorano nella zona industriale di Assemini. Dichiarazioni forti accompagnate da immagini d’impatto che vanno a comporre “un’indagine senza scrupoli che mostra le terribili conseguenze della produzione e dell’utilizzo del fluoro a livello industriale partendo dalla Fluorsid fino a raggiungere le terre dove questo settore ha creato dei veri e propri disastri ecologici che si sono abbattuti sulla vita delle persone”. Questa la descrizione riportata sul sito del festival. 

Al centro Massimiliano Mazzotta durante la presentazione del teaser di Chemical Bros.

Nel 2009 con Oil ha indagato sul petrolio della Saras di Sarroch, ora invece si occupa dell’industria del fluoro. Cosa l’ha spinta a realizzare questo documentario?    
Nel 2009 ho prodotto Oil un po’ per caso, partendo dall’impatto visivo della raffineria, “strani fumi” e semplici segnalazioni di abitanti della zona. Anche questa volta l’impulso è nato dal basso ma, a differenza di Oil, si parte da situazioni già conosciute, che hanno come fili comuni il rispetto dell’ambiente e la sicurezza per l’uomo.

Il suo lavoro viene presentato come “un’indagine senza scrupoli che mostra le terribili conseguenze della produzione e dell’utilizzo del fluoro a livello industriale”. Cosa ha scoperto?
Il documentario è ancora in fase di completamento, già certi “slogan” possono risultare fuorvianti. Sicuramente si parla di utilizzo industriale di fluoro e derivati.

In Sardegna è partito dalla Fluorsid che nel 2017 è finita nel mirino della magistratura per lo scandalo ambientale di Macchiareddu. L’inchiesta giudiziaria si è conclusa tra archiviazioni e patteggiamenti e con l’annuncio dell’avvio delle bonifiche da parte dell’azienda. Quella vicenda oggi è un capitolo chiuso?

Non sono un magistrato, quindi non posso parlare di capitoli aperti o chiusi: sono partito da lì per vedere com’è la situazione, non per fare processi. Si possono toccare temi di un territorio specifico, come i tempi e i modi di determinate bonifiche, ma non bisogna impuntarsi su un nome, una sigla o uno “scandalo”, considerando che ci sono molte situazioni simili in Italia e all’estero, quindi non vedere solo come “il caso di” ma prendere un po’ di coscienza sul fatto che le persone e l’ambiente rischiano di soffrire situazioni simili tra loro, come se fossero parti di uno stesso insieme di produzioni industriali…

Si tratta di un lavoro autoprodotto?    
Il documentario è prodotto grazie al contributo di Medicina Democratica, associazione impegnata nella difesa dei diritti alla salute dei cittadini e in particolar modo dei lavoratori.

In Sardegna ci sono tanti problemi ambientali irrisolti. Da Porto Torres a Ottana passando per le aree minerarie dismesse fino ad arrivare alle industrie del Sulcis. Con i suoi film e il festival ‘Life after oil’ che dirige lei si è occupato delle conseguenze ambientali dell’industria. Può esistere un’industria sostenibile?    
Non sono uno scienziato, né ho conoscenze tali da fare proposte concrete e attuabili, in non so che tempi, per creare un’industria “sostenibile”. Di sicuro in passato globalmente si è agito con un po’ di superficialità, ovvero puntando alla produzione senza pensare alle conseguenze. Ora si continua a farlo, si potrebbe avere un po’ più di esperienza e coscienza, solo che alcuni cicli produttivi sono per forza ancorati ai sistemi che ci sono. In questo documentario, così come in Oil si guarda alla situazione attuale, ci può essere approfondimento o “indagine”, ma non ci si pone il problema di rivoluzionare l’industria. Maggiore sicurezza e prevenzione per la salute e l’ambiente, sarebbero dei passi in avanti. Il festival Life After Oil invece vorrebbe accogliere proposte alternative a certe produzioni che si potrebbero gestire con impatti molto inferiori. Purtroppo non arrivano molti lavori così, anche perché è una questione grossa: ci sono standard, catene di produzione. Quello lo fanno gli industriali e i politici. Qualche proposta, piccola o grande che sia, può arrivare dal basso, ma senza la volontà di chi gestisce l’insieme politico-industriale-finanziario, rischiano di rimanere solo piccoli esempi virtuosi spesso non facilmente replicabili altrove.

Andrea Deidda 

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