Un viaggio in un luogo senza vita, abbandonato dopo l’illusione dell’industrializzazione che negli anni ’60, in cambio di posti di lavoro, ha divorato le campagne e messo in pericolo la salute di tante persone. Oggi delle fabbriche a Ottana, un tempo gestite dall’Eni, rimangono gli scheletri. Gli operai non ci sono più: tanti sono morti di malattia, carcinomi e asbestosi polmonare, e chi è rimasto combatte una lotta contro la burocrazia per ottenere il riconoscimento delle malattie professionali causate dall’esposizione all’amianto.
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È ‘Guai ai vinti: pane e amianto’, l’ultimo documentario del regista cagliaritano Paolo Carboni presentato sabato, in anteprima nel centro del Nuorese, durante la sesta edizione di ‘Life after oil’ il festival dedicato ai temi della sostenibilità ambientale ideato e diretto da Massimiliano Mazzotta. Una ricostruzione che prende spunto dalle iniziative intraprese dall’Associazione italiana esposti all’amianto (Aiea), e sostenuta dalla Cgil, da anni impegnata in una lunga battaglia legale contro l’Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) affinché venga riconosciuto il nesso tra le malattie contratte dagli ex operai e la loro esposizione ad amianto e solventi chimici nei luoghi di lavoro.
[metaslider id=832972]Un film doloroso e di denuncia che va oltre quelli che le cronache dei giornali spesso riducono a numeri. Dà voce alle vedove costrette a piangere i propri mariti, morti poco dopo essere arrivati al traguardo della pensione. Dà voce agli operai che oltre ad aver visto morire i propri colleghi ora devono fare i conti con tumori devastanti. Testimonianze di chi non si è arreso neanche di fronte a documenti ufficiali paradossali arrivati ad affermare “la bassa presenza di amianto” nelle fabbriche. Eppure, e nel film si vede, a Ottana di amianto ce n’era eccome: “Mio marito non era mai stato a contatto con sostanze tossiche – racconta una donna (video in basso) -, mai a contatto con l’amianto, mai a rischio per il lavoro che faceva. Però mio marito è deceduto”.
Impressionante il caso del reparto At5 dell’impianto industriale dove su trentadue operai che ci hanno lavorato, oggi se ne contano venti tra morti e ammalati. “Il documentario – ha spiegato Carboni alla presentazione – segue tre anni di battaglie intraprese dall’Aiea per vedere riconosciuti diritti negati per troppo tempo. Non è stato facile, sono rimasto coinvolto personalmente: durante la realizzazione del lavoro è capitato che alcuni degli intervistati siano morti prima della conclusione”. L’epilogo di quello che sessant’anni fa veniva accolto come un sogno e che invece col tempo si è trasformato in un incubo da non ripetere. “Film del genere servono per ricordarci di non commettere più gli stessi errori – ha detto il sindaco di Ottana, Franco Saba – cerchiamo di andare oltre, ora a Ottana abbiamo in programma un progetto per impiantare una produzione di alghe da cui estrarre biocarburanti”.
Andrea Deidda