Fondi ai gruppi, Mario Diana condannato a cinque anni e sei mesi

Mario Diana è stato condannato a cinque anni e sei mesi. Così, in tribunale a Cagliari, ha deciso il collegio della Prima sezione penale, presieduto da Giuseppe Pintori (a latere Claudia Belelli e Manuela Anzani). Diana, in qualità di capogruppo Pdl da marzo 2009 allo stesso mese del 2012 – era la XIV legislatura -, è stato ritenuto colpevole di peculato aggravato per una somma di 200mila euro che sale a 600mila coi fondi avallati agli altri consiglieri Pdl. Il verdetto del collegio riduce di due anni e quattro mesi la richiesta del pm Marco Cocco che per Diana, nella requisitoria dello scorso 18 maggio, sollecitava otto anni di condanna. La sentenza, emessa alle 12,06, chiude uno dei processi stralcio delle inchieste sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale.

Diana era in aula quando è stato letto il dispositivo: sedeva accanto ai suoi legali, Pierluigi Concas e Massimo Delogu, che per il loro assistito chiedevano l’assoluzione sostenendo che l’ex capogruppo “è stato usato come paravento per i reati commessi da altri”. Diana ha accolto la condanna senza reagire. È stato condannato anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla restituzione alla Regione Sardegna degli oggetti acquistati coi soldi dei fondi ai gruppi. Il collegio ha invece assolto Diana per i capi di imputazione che riguardano un abbonamento telefonico a Tiscali, l’acquisto di due Rolex e il matrimonio di Carlo Sanjust.

Il processo contro Diana era cominciato a febbraio 2015, quindici mesi dopo l’arresto, in custodia cautelare, avvenuto il 6 novembre 2013 (in manette finirono pure il collega di partito Sanjust, e l’imprenditore cagliaritano Riccardo Cogoni). Diana, detenuto nel carcere di Massama, è rimasto in cella sino a marzo 2014 e da lì, poco prima di Natale, aveva spedito una dura lettera nella quale si dichiarava innocente e vittima di “un processo mediatico e sommario che senza alcuna pietà ha distrutto ogni cosa, facendo di me il peggiore dei criminali”. Nella missiva, affidata al primo legale, il defunto Mariano Delogu, Diana rimproverava anche i consiglieri regionali per non essere intervenuti a “impedire o attenuare il linciaggio della stampa”.

Diana, nel corso del giudizio, è stato interrogato in aula a marzo 2016, qualche mese prima del cambio del collegio, perché nel frattempo il giudice Mauro Grandesso è stato nominato presidente del tribunale di Cagliari. Le domande del pm Cocco avevano riguardato dettagliatamente tutte le spese fatte coi soldi dei fondi ai gruppi e finiti nel mirino della Procura: dai libri antichi ai Rolex passando per le penne Montblanc. Quanto ai primi, si trattava di una collezione acquistata da una società veneta per una somma di oltre 41mila euro. Quanto agli orologi – due in totale per un valore di 6mila euro – è uno dei tre punti sui quali la difesa è riuscita a dimostrare l’estraneità di Diana perché la firma in calce è risultata falsificata (leggi qui). Le penne vennero acquistate, sempre coi fondi pubblici, in occasione di un Natale e regalate ai consiglieri regionali: per questo acquisto è stata di recente rinviata a giudizio l’allora vicecapogruppo Pdl e assessora alla Sanità, Simona De Francisci, insieme al consigliere Sisinnio Piras.

Oggi per Diana la condanna a cinque anni e sei mesi. E si tratta della pena più alta finora comminata nell’ambito dell’inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale sardo. Chiusa l’udienza gli avvocati Concas e Delogu hanno rilasciato una dichiarazione ai giornalisti presenti in tribunale: “Siamo soddisfatti per la riduzione della pena decisa dal collegio rispetto alla richiesta del pm e riteniamo di aver raccolto già con questa sentenza elementi utili per dimostrare in appello l’innocenza del nostro assistito”.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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All’inchiesta Fondi ai gruppi è stato dedicato un dossier di dieci pagine su Sardinia Post Magazine Anatomia di un peculato (a cura di Alessandra Carta).

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