Cutolo ‘o professore, nozze sull’Isola: l’Immacolata andata in sposa al boss

Le trentasei foto scattate nel maggio del 1983 all’Asinara, nella chiesetta della Madonna Immacolata di Cala d’Oliva, e che ritraevano la giovanissima Immacolata Iacone e il maturo Raffaele Cutolo ‘o professore, sono diventate una vera e propria reliquia. Nessuno, tranne la moglie e i familiari più stretti del boss della ormai dissolta Nco (Nuova Camorra organizzata), le ha mai viste. Dopo essere state visionate dai funzionari del dipartimento degli istituti di pena di Roma e aver ricevuto il nulla osta del magistrato di sorveglianza dell’epoca, vennero consegnate alla Iacone, che ancora le conserva gelosamente.

Un matrimonio non consumato, quello tra l’allora diciasettenne Immacolata e il quasi quarantenne Don Raffae’, che suscitò perplessità persino nella chiesa, con l’allora vescovo di Sassari, monsignor Salvatore Isgrò, che pretese, prima di dare il suo assenso alla cerimonia religiosa, il giuramento scritto della ragazza, la quale non esitò a firmare le carte pur di coronare il suo sogno d’amore. Un amore rimasto intatto dopo trentasei anni, come ha raccontato nei giorni scorsi la Iacone ad un giornalista di Fanpage.it, sugellato da un solo bacio, quello scambiato con Don Raffae’ sull’altare.

Era il 1981 quanto l’ergastolano promise un solenne “tra due anni esco e ti sposo” a quella ragazzina che andò a trovarlo nella pausa di un processo al tribunale di Napoli, ricevendo come risposta un “io aspetterò per dieci anni”. In realtà Cutolo non è mai uscito dal carcere un solo giorno, sottoposto com’è al duro regime del 41 bis. Un carcere da sepolto vivo voluto per il boss di Ottaviano dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, che impose d’autorità di mettere fine a quello che veniva definito “il soggiorno” del capo della camorra nel penitenziario di Ascoli, dove si dice che Don Raffae’ potesse contare su una camera elegantemente arredata, su un segretario e un tuttofare. Un anno più tardi il matrimonio nell’isola del diavolo, un’isola che Raffaele Cutolo non amava e che nel tempo ne ha fiaccato la grinta di uomo abituato al comando.

‘O professore era giunto all’Asinara come capo indiscusso, temuto e rispettato della camorra napoletana. Lasciò il bunker di Cala d’Oliva dopo cinque anni, dopo aver digiunato per diciassette giorni, perdendo oltre dieci chili e in condizioni quasi disperate.

Raffaele Cutolo e Immacolata Iacone nell’ottobre del 2007 hanno avuto una bimba – Denise – grazie alla fecondazione assistita. Una ragione di vita per il padre, che nei giorni scorsi ha confidato ai suoi difensori, nel carcere di Parma, di preferire la morte al fatto di non poter più abbracciare la sua bambina. Il prossimo anno, infatti, al compimento del dodicesimo anno di età la ragazza (che nelle ore di permesso resta accanto al padre) potrà vederlo soltanto attraverso i vetri blindati. Una ragione di vita per Immacolata Iacona, che di quell’amore impossibile nato tra le sbarre conserva il ricordo di un bacio, le foto di una cerimonia intima e la consapevolezza d’aver dato alla luce il frutto di un amore mai consumato ma voluto e difeso con tutte le sue forze.

Nel maggio del 1983, nella chiesetta di Cala d’Oliva, il paesino dell’isola-bunker, tutto era pronto per la cerimonia. Il brigadiere della polizia penitenziaria Lorenzo Spanu fece salire a bordo dell’imbarcazione ‘Airone’, nel porto di Stintino, la futura sposa, l’avvocato e la moglie di quest’ultimo, testimoni di nozze. Fu quello l’unico giorno che Immacolata Iacone ebbe modo di stare a fianco al suo uomo, senza sbarre o vetri blindati. Indossò l’abito bianco nella stanza del direttore del carcere, il mitico Francesco Massidda, guardata a vista da una agente. Quindi si recò, accompagnata dai testimoni, in chiesa. Don Sergio Curreli, il parroco dell’Asinara, benedisse quelle nozze, poi si passò al rinfresco. Una bottiglia di spumante e una torta preparata dalle mogli degli agenti. Il brindisi con i bicchieri di plastica e il bacio sulle labbra, l’unico scambiato tra i due. Le foto ricordo le scattò il brigadiere Lorenzo Spanu (sottufficiale oggi in pensione) con la macchina fotografica messa a disposizione dal parroco. Immortalando anche il bacio tra i due sposi.

“Venni rimproverato per quello scatto – ricorda Lorenzo Spanu – perché le foto restano”. Don Raffae’ – celebrato in una canzone di Fabrizio De André (il boss ha scritto più volte al cantautore, ringraziandolo) – trascorse cinque anni in assoluto isolamento all’interno del bunker, un isolamento che venne rotto nel 1987 quando lo raggiunse in cella, per alcuni mesi, il figlio Roberto. Durante i suoi trasferimenti nella Penisola per essere processato, l’ex re di Ottaviano denunciò più volte le condizioni inumane di vita a cui erano costretti i detenuti, sin quando non decise di fare lo sciopero della fame.

Ora è un uomo di 78 anni, afflitto dagli acciacchi della vecchiaia: vive in carcere da più di cinquantacinque anni, venticinque dei quali passati in regime di 41 bis. Il criminologo del paese di Saviano, Francesco Franzese, con una petizione online lanciata alcuni anni fa sulla piattaforma Change.org, ha raccolto oltre 100mila firme per chiedere il trasferimento del capo della Nco dal carcere ai domiciliari. Sulla notizia è intervenuta il 13 maggio scorso Annamaria Torre, referente provinciale per la memoria di ‘Libera Salerno’: è la figlia del sindaco di Pagani assassinato l’11 dicembre del 1980 su ordine di Raffaele Cutolo. Sul proprio profilo Facebook la donna ha scritto: “Scusatemi se invado con questo post mentre c’è Noemi (la bimba di quattro anni ferita a Napoli in un agguato di Camorra) che combatte tra la vita e la morte, ma sento il bisogno d’intervenire senza essere giustizialista o altro, essendo costui il mandante dell’omicidio di mio padre… Come da sentenza del 2001 confermata in Cassazione nel 2002, chiedo solo la Resurrezione della verità per tutte le sue vittime… La giustizia riparativa è possibile se si ammettono i propri errori e si collabora con la legge». E Don Raffae’ non si è mai pentito, se non “davanti a Dio”, come dice da sempre.

Giampiero Cocco

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