I Curdi sono un popolo disperso, intrappolato in cinque paesi: Turchia, Iran, Irak s Siria e Armenia. Così e stato deciso nella spartizione a tavolino dell’impero Ottomano sconfitto nella Grande Guerra. Sono trenta milioni e non c’è comunità che non sia perseguitata o discriminata all’interno di questi stati.
Roberto Mulas, dipendente della PA, laureato in Giornalismo e attento osservatore di questa parte del mondo, è stato al confine turco-siriano del Kurdistan, regione distribuita tra Siria, Iraq, Iran e Turchia per documentare la situazione attuale con una delegazione di sardi dell’Associazione ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione), in visita come osservatori internazionali. L’ambito era l’annuale appuntamento con i festeggiamenti del Newroz che si rinnovano da ormai 2627 anni nel mese di marzo; il carattere che oggi questi hanno assunto è quello politico, motivo per cui non manca la repressione, a tratti violenta della polizia turca.
Da questo viaggio ha riportato notizie, umori, emozioni e anche il reportage fotografico ” Kurdistan – un popolo che (r)esiste” diventato mostra itinerante ora esposta a Gavoi nell’ambito del Festival Isola delle Storie dove resterà sino al 5 luglio. Raccontare le vicende attuali delle comunità curde disperse e coinvolte in vicende politiche in continuo cambiamento è cosa assai complessa. Roberto Mulas ci prova dalle pagine del suo blog IN-FORMA-SARDA e con questo reportage fotografico fra la gente del Kurdistan turco.
Il governo turco ha inserito il PKK, il partito dei lavoratori nella lista delle organizzazioni terroristiche. Una questione di pura facciata, secondo i militanti. La maggior parte dei Curdi — sottolinea Roberto Mulas — non vogliono, come temono i turchi, uno stato indipendente ma hanno un unico obiettivo: vivere in pace secondo le loro tradizioni sociali e religiose e avere la libertà di espressione finora negata. E vogliono arrivare a questo seguendo le regole della democrazia, come dimostra l’elezione di un loro rappresentante nel parlamento turco.
Nell’ambito di questo viaggio, che lo ha portato a vivere tra la gente e a scoprire tratti umani curiosamente simili ai sardi, sono nate le immagini di un reportage costruito secondo i più classici canoni della fotografia di documentazione sociale. Un lavoro interessante perché portatore di contenuti che danno forza e voce ad una resistenza che dura instancabile da quasi cent’anni alla ricerca di quella legittimazione politica che, da sola, basterebbe a modificare il loro destino di popolo.
La fotografia, anche quando praticata da chi non si dichiara fotografo, ha il grande potere di dare un supporto visivo sintetico ed immediato alla parola, al racconto più dettagliato e coinvolgente. “Le fotografie — disse il Maestro Ferdinando Scianna — mostrano, non dimostrano”. Ma, come traspare da questo lavoro, aiutano certamente a comprendere.
Enrico Pinna