Sardegna e Giappone uniti nel segno delle miniere: A Sorachi la mostra “La città del Carbone”:

Ovunque si trovino, le miniere di carbone hanno sempre qualcosa che le accomuna. A cominciare dal nero del minerale e dal buio delle gallerie che i minatori riportano in superficie ogni giorno stampati nei loro occhi. Poi i paesaggi che, con l’abbandono, diventano archeologie struggenti e contorte, che segnano il territorio per secoli, prima di essere ingoiate dalla natura.

Così fra i paesaggi minerari della provincia di Carbonia e quelli della provincia giapponese di Sorachi ci sono tante similitudini. Lo ha notato Davide Uccheddu (origini sarde, residente nella città di Mikasa e direttore della ditta J.I.Exchange Inc. che ha cominciato a pensare come mettere in connessione due realtà così simili.

Nasce quindi il progetto Sora-Degna che si propone di sviluppare una rete di reciproche conoscenze e di scambi culturali fra le zone minerarie delle due regioni. La prima iniziativa è la mostra “La città del Carbone” che sarà allestita dall’ 8 al 23 novembre nellla provincia giapponese di Sorachi. Ideata da Davide Uccheddu insieme a Lorenzo Uccheddu che ha anche realizzato, in collaborazione con Ester Lai, le 150 fotografie della grande miniera di Serbariu che saranno esposte nella mostra. Le immagini d’epoca sono state fornite dai curatori della parte storica, cioè la Sezione di Storia locale del Sistema Bibliotecario Interurbano del Sulcis (SBIS) in collaborazione con il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC).

La Mostra è articolata in quattro sezioni che rispecchiano la successione temporale dall’apertura alla chiusura delle miniere del Sulcis, dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri. La prima sezione è dedicata alle miniere carbonifere di Bacu Abis e Terras Collu sfruttate dal 1853 e a Caput’Acquas in attività dal 1879. Sono state selezionate undici immagini del fotografo biellese Besso e dell’iglesiente Pizzetti, entrambi fotografi industriali, che evidenziano il metodo di coltivazione a giorno o a cielo aperto in uso fino ai primi anni del Novecento.

La seconda sezione che si compone di ventisei fotografie, è dedicata alla Grande miniera di Serbariu in esercizio dal 1937 a Carbonia unico esempio di città di fondazione costruita “a bocca di miniera”. Il percorso delle immagini rappresenta le mansioni principali dei lavoratori impegnati nel sottosuolo e nel soprassuolo e il ciclo di produzione del carbone: estrazione, trattamento, trasporto e imbarco.

La terza sezione, con ventidue scatti, è nata con l’intento di promuovere il grande lavoro di riqualificazione degli edifici del sito minerario di Carbonia rimasti inutilizzati dalla chiusura della miniera fino alla creazione dell’attuale polo culturale-scientifico, costituito dal Museo del Carbone, dal Museo di Paleontologico PAS E. A. Martel, dalla Sezione di Storia locale, dall’Auditorium, dalla Sotacarbo e dalla Fabbrica del cinema.

La quarta sezione, con diciotto immagini, illustra il periodo contemporaneo e l’attività della miniera di Nuraxi Figus in territorio di Gonnesa. Sono rappresentati gli attuali metodi di coltivazione del carbone per mezzo di modernissimi macchinari, l’estrazione e il trattamento del minerale, gli impianti di omogeneizzazione e tutte le infrastrutture che fanno parte del sito minerario.

Le 150 fotografie recenti della Grande Miniera di Serbariu, realizzate da Lorenzo Uccheddu,  giovane fotografo di Carbonia, si muovono nel solco di uno stile documentario classico, teso a restituire scorci di attualità e frammenti di memoria. Storie di uomini raccontate dai loro strumenti di lavoro e da oggetti che hanno costituito il segno del loro passaggio nella grande miniera.

Da decenni il nostro Sulcis non esporta più il carbone e — credo — nessun altro prodotto del sottosuolo. Esaurite le vene di minerale è giunta l’ora di scavare le inesauribili vene immateriali della cultura che la miniera ha scolpito nel territorio e negli uomini. Per esportarla come prodotto di una storia industriale e sociale secolare, ricca originalità ma anche di tanti punti di connessione con quelle omologhe di tutto il mondo. E la fotografia — che parla un linguaggio universale — si rivela ancora un formidabile mezzo di condivisione.

Enrico Pinna

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