Quelle false verità

Una delle errate convinzioni che, da sempre, accompagnano la fotografia è che le immagini rappresentino una testimonianza inequivocabile degli eventi, la prova che un determinato fatto è realmente accaduto. Niente di più falso, avverte Susan Sontag, perchè «ogni fotografia attende di essere spiegata o falsificata da una didascalia».

La scrittrice, nel suo saggio “Di fronte al dolore degli altri” esemplifica la sua affermazione: «Durante i combattimenti fra Serbi e Croati, le stesse fotografie di bambini uccisi nel bombardamento di un villaggio venivano mostrati sia nelle conferenze di propaganda Serbe che in quelle Croate».

In questi giorni arrivano foto che stanno sconvolgendo il mondo. Sono le immagini delle vittime di un massacro che sarebbe avvenuto a Damasco con l’uso di gas nervini. Le foto, alcune delle quali destano qualche dubbio, sono, per ora, le uniche prove del massacro.

Sulla base di queste testimonianze gli Anglo/Americani (che hanno in Siria immensi interessi economici) sono pronti ad un intervento armato dato ormai per certo. E se a loro prudono già le mani, i fabbricanti se le fregano contenti, sicuri di grassi affari in vista.

In questi giorni Il Giornale ha pubblicato un pezzo che getta più di un’ombra sull’autenticità di alcune testimonianze fotografiche. Il cronista del quotidiano scopre che la stessa foto (una immagine del dolore aderente ai canoni estetici attuali, perfettina, ben composta, ben ritoccata, quasi un quadro) è stata già stata usata per denunciare eccidi in Israele e in Egitto. La ritroviamo ora su siti e giornali arabi come testimonianza dell’uso di gas in Siria. Sono luoghi ed eventi distanti temporalmente e geograficamente e forse non sapremo mai dove sono morti realmente quella donna e il suo bambino.

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Ecco la foto ed ecco, qui sotto la prova, secondo l’articolista, del suo truffsiria strage 3-03aldino utilizzo:

Come denunciava Susan Sontag per la guerra nell’ex Iugoslavia una foto, la stessa, viene manipolata dalle didascalie per denunciare, sconvolgere, accusare, pretendendo di essere prova inoppugnabile

Non è questa la sede per discutere sul terribile eccidio Siriano, ancora pieno di lati oscuri evidenziati anche da altre autorevoli fonti. Una Commissione ONU è al lavoro per raccogliere prove più certe. Mi interessa invece discutere di quella che si può definire “l’Ecologia dell’informazione” di cui la fotografia è parte importante ed integrante.

Diffondere una notizia falsa o una foto falsa sono due operazioni di pessimo giornalismo. Spesso la foto apparentemente autentica pretende di avvalorare la notizia falsa. Ho avuto modo di parlare di questo problema in un precedente post (Foto false, bugie autentiche) relativo alla foto della “villa” dei Rom pubblicata da L’Unione Sarda.

Le guerre moderne sono poi terreno d’elezione per la fabbricazione di immagini e notizie che, sconvolgendo l’opinione pubblica, generano un’onda emotiva che porta acqua al mulino di una delle parti in conflitto. E non sempre i giornali riescono a cogliere immediatamente l’inganno. È recente la guerra civile in Libia dove fu utilizzata ampiamente la pubblicazione di immagini a supporto di notizie non vere. Mi riferisco, ad esempio, alla scoperta di sommarie sepolture di massa sulla spiaggia di Tripoli, definite dai nostri media fosse comuni, frettolosamente allestite per seppellire le vittime di un massacro. Questa foto lo lascia lascia pensare.

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Le fosse comuni si rivelarono semplici tombe in cemento, nel cimitero di Tripoli, chiamato Sidi Hamed Cemetery, che si trova vicino al mare.  Le tombe, prescavate e pronte per essere utilizzate, come succede per i loculi dei nostri cimiteri, erano visibili su Google Maps ben prima della notizia. In un video diffuso su YouTube, si vedono aggiungere due file, forse per le vittime degli ultimi giorni. Insomma, niente sepolture di emergenza.

fosse comuni-libia2

 

 

 

Potrei andare avanti a lungo ma il concetto mi sembra abbastanza chiaro. Ogni foto rappresenta una fetta di realtà, un punto di vista. Le foto della Libia in campo stretto non permettono di vedere la verità che, con un’inquadrature più grandangolare, è lampante ed inequivocabile.

Una foto, per essere realmente “testimonianza autentica” va contestualizzata con cura e didascalizzata con onestà. Altrimenti è solo un’autentica bugia.

Enrico Pinna

 

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