Quei frammenti di vita restituiti dal mare

Dio benedica le fotografie. Tutte. Anche quelle che, nella loro banalità, sembrano totalmente inutili, buone, tutt’al più, per qualche scalcinato album di famiglia. Anche quelle che inondano quotidianamente i social network e non valgono neanche quel po’ di energia necessaria al cellulare per scattarle.

Da questo magma indistinto emergono, talvolta, immagini che, improvvisamente, cambiano il loro labile significato, si affrancano dall’inevitabile destino di oblio per nobilitarsi e assurgere a simbolo, metafora, paradigma.

La recente tragedia di Lampedusa ci ha sconvolti e le immagini pubblicate hanno contribuito a farlo. Alcune, le più toccanti, non mostrano ma lasciano immaginare. Mi riferisco a quei sacchi verdi allineati, tutti con un cartellino appeso: maschio, età apparente vent’anni anni recita uno. Poi un gelido numero che identifica l’anonimo cadavere.

In questi giorni, insieme a quei miseri corpi sono affiorati i loro effetti personali, fra cui alcune foto ricordo. Frammenti di vita restituiti dal mare. Foto scattate con cellulari o dal fotografo, con tanto di posa ottocentesca, finta colonna e fondale. Su una campeggia una scritta che oggi suona beffarda: “Good luck”.

Dio benedica queste foto perché, senza volerlo, nella loro semplicità di testimonianza autentica, trasformano di colpo la percezione di quei sacchi verdi, cambiano il punto di vista. Non importa il nome delle persone ritratte, non importa se sono morte oppure si sono salvate. L’unica cosa importante è che quelle banali foto assumono ora una forza profonda e dirompente.

Ci urlano con vigore che là, dentro quei sacchi, non ci sono numeri, non ci sono “clandestini extracomunitari” o “migranti” o “richiedenti asilo”, come recita la nostra burocratica terminologia. In quei sacchi, e le foto sono sotto i nostri occhi a testimoniarlo, ci sono solo persone di cui rivendicano la dignità. Persone che amavano, ridevano, speravano in un futuro migliore, nella buona fortuna. Proprio come noi.

E dimostrano, quando cominciavamo a decretarne la fine o la incombente inutilità, tutta la potenza evocativa di cui è capace la fotografia.

Enrico Pinna

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