In un mondo dove la globalizzazione dell’economia e dell’informazione ha connesso universi, culture e modelli sociali distanti e apparentemente inconciliabili non stupisce che l’arte contemporanea, sensibilissimo termometro del nostro tempo, sia una delle massime espressioni della contaminazione fra tecniche, creatività e linguaggi. E’ altrettanto conseguente che l’attenzione di molti artisti si concentri sulle grandi questioni globali, in primis quelle ambientali.
La mostra Post Organico: The Day After, curata da Erica Olmetto, allestita all’EXMA’ in Via S. Lucifero 71 a Cagliari e visitabile sino al 22 febbraio ne è una dimostrazione eloquente. Coinvolge quattro artisti: Matteo Campulla, Federico Cozzucoli, Simone Giovagnorio e Alessandro Muscas che sviluppano, ognuno col proprio linguaggio, la tematica dell’estinzione delle risorse naturali e la conseguente trasformazione del territorio, in primo luogo del Sulcis Iglesiente, area intensivamente sfruttata e trasformata dalle attività minerarie e industriali fin dal tempo dei Fenici.
La mostra fa un chiaro richiamo al Post Organico, movimento artistico degli anni Ottanta, che sviluppava il concetto di fusione della macchina, prodotto artificiale creato dall’uomo, con gli elementi organici dell’uomo stesso in una sorta di trasformazione tecno-biologica dai risultati spesso inquietanti. The day after amplia i confini di queste tematiche, estendendoli all’idea di trasformazione costante del paesaggio naturale in paesaggio artificiale, causato dalla produzione di scorie e residui che hanno desertificato ambienti che difficilmente torneranno ad essere produttori di vita. Una lotta continua tra attività umane e paesaggio naturale che avrà come conseguenza la distruzione di risorse e il necessario adattamento dell’uomo al nuovo ambiente.
Il tema è stato ampiamente sviluppato da tantissimi autori con i linguaggi del cinema, della fotografia documentaria e del reportage. I quattro artisti provano invece a declinarlo utilizzando i linguaggi dell’arte concettuale e un raffinato catalogo di tecniche di contaminazione creativa che includono fotografia, elaborazione digitale, performance e installazioni.
Alessandro Muscas propone “Metamorfosi”, lavoro in bianco e nero squisitamente fotografico, dove luci ed ombre, che tracciano segni grafici essenziali e decisi, caratterizzano un’indagine visiva tesa al particolare, per isolarne forme ora lineari ora contorte, in una sorta di trasfigurazione di oggetti che escono dalla dimensione del reale per assumere caratteri di forte astrazione e collocarsi in una dimensione quasi metafisica. Strutture inorganiche apparentemente immutabili ma soggette al lento e inesorabile degrado, all’inevitabile ed “organica” trasformazione.
Simone Giovagnorio espone “Time lapse 2008”. Il file fotografico è trattato con un processo di sovraesposizione denominato “lambda” che trasforma il paesaggio industriale proiettandolo in un’algida dimensione atemporale, onirica e premonitrice di un futuro post-organico dove la sfera del naturale scompare per lasciare il posto a un mondo artificiale che costringerà l’umanità a cercare nuove strategie di sopravvivenza.
Il video “No human place 2014” di Matteo Campulla, è stato scelto — scrive Erica Olmetto nella presentazione — come simbolo e chiave di lettura dell’intero progetto. L’artista sperimenta la tecnica informatica del pixel sorting, che ha lo scopo di alterare gli elementi originali della foto sottoponendola ad un processo di disgregazione estetica. Attraverso la sua lettura — conclude la curatrice — si individua nelle sequenze video il lento ed inesorabile cambiamento di forme e di colori che frammentano e distruggono la realtà esistita fino ad oggi, in funzione della ricostruzione di una dimensione futura dove, molto probabilmente, l’esistenza umana non sarà più la stessa.
Infine l’installazione di Federico Cozzucoli denominata “Reliquia 2012-2015” chiude la mostra con un lavoro che eleva a reliquia, secondo la tradizione cristiana, elementi del proprio corpo. Elementi di scarto, in connessione con la propria natura organica ma anche col filo conduttore della mostra. Quei residui organici, inevitabilmente degradabili, assurgono a metafora dei residui di lavorazione che caratterizzano i paesaggi post-industriali e post-minerari del Sulcis e di qualunque altro luogo del mondo.
La mostra (esposta in contemporanea con “Darkkammer “, Collettiva a cura di Roberta Vanali e Efisio Carbone e “Qualcuno, nessuno, sette miliardi”, Personale di Mauro Serra) offre una lettura inedita e stimolante, un punto di vista nuovo di un tema ampio e preoccupante come la trasformazione incontrollata e il progressivo impoverimento dell’ambiente.
Gli artisti sembrano porsi nella posizione di osservatori apparentemente neutrali di fronte a questa prospettiva. Ma le atmosfere tese e inquiete che caratterizzano alcune opere insinuano il timore che il punto di arrivo del processo sia lo scenario descritto da Alberto Magnaghi, Professore ordinario di pianificazione territoriale all’Università di Firenze: “La terra promessa della modernizzazione è diventata terra bruciata dalla desertificazione ambientale, sociale, spirituale”.
Enrico Pinna