Non credeva ai suoi occhi John Maloof, agente immobiliare di Chicago, mentre dal suo scanner emergevano, poco a poco, i negativi acquistati nel 2007 all’asta per poche centinaia di dollari. Sullo schermo del suo computer scorrevano, scansione dopo scansione, le immagini di una grande fotografa che avrebbe costretto gli storici della fotografia ad aggiungere qualche pagina ai loro trattati.
Si chiamava Vivian Maier e il suo nome era totalmente sconosciuto al mondo della fotografia. Di mestiere faceva la bambinaia per le famiglie benestanti di New York e Chicago sino dai primi anni Cinquanta e, per oltre mezzo secolo, ha fotografato la vita nelle strade delle città in cui ha vissuto senza mai far conoscere il proprio lavoro. Mai una mostra, mai una pubblicazione.
Ci ha lasciato un archivio sterminato, con più di 150.000 negativi, una miriade di pellicole non sviluppate, stampe, film in super 8 o 16 millimetri, registrazioni, appunti e altri documenti di vario genere che la tata “francese” (la madre era originaria delle Alpi provenzali) accumulava nelle stanze in cui si trovava a vivere, custodendo tutto con grande gelosia.
La mostra al MAN di Nuoro, a cura di Anne Morin, realizzata in collaborazione con diChroma Photography, sarà la prima di Vivian Maier ospitata da un’Istituzione pubblica italiana. L’apertura è prevista per il 10 luglio e la mostra resterà a Nuoro sino al 18 Ottobre. Partendo dai materiali raccolti da John Maloof, il progetto espositivo fornisce una visione d’insieme dell’attività di Vivian Maier ponendo l’accento su elementi chiave della sua poetica, come l’ossessione per la documentazione e l’accumulo, fondamentali per la costruzione di un corretto profilo artistico, oltre che biografico. Insieme a 120 fotografie tra le più importanti dell’archivio di Maloof, catturate tra i primi anni Cinquanta e la fine dei Sessanta, la mostra presenta anche una serie di dieci filmati in super 8 e una selezione di immagini a colori realizzate a partire dalla metà degli anni Sessanta.
La storia di Vivian Maier ha dell’incredibile. Dopo essersi reso conto del tesoro che aveva in mano John Maloof iniziò un’affannosa ricerca della misteriosa fotografa di cui non sapeva nulla. Alla fine la trovò due anni dopo, un giorno del 2009, negli annunci mortuari di un giornale di Chicago. Vivian Maier è andata via in punta di piedi, in solitudine, come aveva sempre vissuto, all’età di 83 anni. Nell’ultimo periodo della sua vita si era ritirata in un sobborgo di Chicago depositando il suo enorme accumulo di materiali in un box finché, non riuscendo a pagare l’affitto, il materiale venne messo all’asta.
Ma chi era Vivian Meier? Chi l’ha conosciuta la descrive come una donna solitaria, dura, un po’ eccentrica, intellettuale, con una timidezza che poteva facilmente essere e scambiata per supponenza. “Vivian Maier — secondo quanto dichiarato dalla curatrice Anne Morin al Magazine Artribune in un’intervista (cliccare qui) — era una persona inquieta, curiosa del mondo, che sapeva definire perfettamente la propria posizione, sempre con idee chiare e impegnate. Credo che avesse il bisogno di mantenere e preservare il mondo che aveva costruito dentro di sé.
Registrava la realtà in vari modi e con diversi supporti: super 8, 16 mm, registrazioni vocali, e la fotografia naturalmente. Ma anche attraverso la sua collezione di gioielli economici e il suo avido desiderio di accumulare giornali e articoli di cronaca. Vivian archiviava il mondo, nel suo tempo, in tutti questi modi”.
La fotografia di Vivian Maier ti sorprende. “Una straordinaria fotografa di strada — scrive Michele Smargiassi sulle pagine del suo blog Fotocrazia — ma non solo questo. Quello che mi colpisce, personalmente, è che ogni volta che una di queste immagini mi compare sullo schermo, mi richiama alla mente grandi immagini che già conosco …, ma che (salvo attenta verifica della cronologia) Vivian in alcuni casi non poteva conoscere perché non erano ancora state scattate”.
Le immagini proposte sono le uniche che siamo autorizzati a pubblicare. Ma guardando le gallery presenti sul sito www.vivianmaier.com scoprirete una fotografia di assoluta purezza perché non condizionata dalla ricerca del successo, libera dal bisogno di corrispondere le richieste di committenti e galleristi. Lei osservava e raccontava il mondo per sé, senza contaminazioni commerciali. E il suo mondo era la strada dove fotografava con mano sicura ed intensa forza espressiva e compositiva. Immagini venate a volte di malinconia, altre di sottile ironia. Qualche volta taglienti e spietate, sempre realizzate con sguardo originale e spontaneo, con una padronanza tecnica e una cura visiva straordinaria. I suoi soggetti erano i frequentatori dei marciapiedi, dei negozi, delle stazioni: Ricchi, poveri, bianchi, neri, ubriachi, star del cinema, bambini. Un’umanità fissata nei suoi momenti di vita quotidiana, un universo urbano che insegue la propria esistenza.
La fotografia di Vivian Maier interpreta, con assoluta padronanza, sia il bianco e nero che il colore, ed è quella del suo tempo, degli anni d’oro della street photography. I suoi scatti riecheggiano (e, talvolta, forse anticipano) quelli di Robert Frank o di William Klein, Lee Friedlander, Elliot Erwitt, Helen Levitt e la lista è ancora molto lunga. Una straordinaria interprete di tanti generi fotografici declinati senza un apparente progetto, quasi con la casualità di un quaderno di appunti, un diario personale in cui rappresentare il suo discreto e quasi furtivo sguardo sul mondo.
Poi gli autoritratti che Vivian Maier ha realizzato a decine che erano per lei uno strumento per scoprirsi, per trovare il proprio posto nel mondo, come lei stessa ha dichiarato in una delle sue registrazioni vocali. Si rendeva visibile, quasi a farsi, ogni tanto, protagonista del suo racconto. Ma sempre ai margini o con il volto riflesso o disturbato da uno specchio o da una vetrina, sfuggendo al rapporto diretto con l’obiettivo. Immagini spezzate nella ricerca di un’identità che le sfuggiva.
Quando pensavamo di conoscere tutto della fotografia, ecco comparire questa inaspettata “nuova” fotografa a sparigliare le carte e rimettere in discussione miti e certezze. Dovremo volentieri aggiungere alcuni capitoli ai nostri libri per dedicarle il posto che merita e che aveva scelto di non occupare da viva. La sua rocambolesca scoperta ci ricorda che, in fondo, sono state proprio le coincidenza a scrivere molte pagine di storia.
Ora da alcuni anni la tata-fotografa è diventato un mito: innumerevoli libri, due film, tante mostre hanno fatto lievitare la sua figura e il conto in banca del suo scopritore. Chissà se Vivian Maier, dopo avere tenuto riservatamente ed accuratamente nascosta la sua arte, avrebbe preferito un altro finale alla sua storia umana e fotografica. O se invece sorride soddisfatta per essere riuscita, ancora una volta, a celarsi, con il suo immancabile cappello, dietro quegli specchi che spezzano, con i loro riflessi, i contorni della sua vita lasciandoci tante domande senza risposta.
Enrico Pinna