Un giorno Robert Doisneau, famoso fotografo francese nota, in un piccolo caffé di rue de la Seine, un’incantevole ragazza che beve un bicchiere di vino, a fianco di un signore di una certa età che la guarda con un sorriso fra il divertito e il goloso.
Doisneau chiede ai due il permesso di fotografarli. Essi accettano e la fotografia esce nella rivista “Le Point”, in un fascicolo dedicato ai bistrots, illustrato dalle fotografie di Doisneau. L’autore cede la fotografia, insieme ad altre, alla sua agenzia. […]
Poco tempo dopo, la fotografia in questione esce in un giornaletto, pubblicato dalla lega contro l’alcoolismo […] Il signore, che è professore di disegno, si risente. “Mi prenderanno per un beone”, protesta con il fotografo che gli fa le sue scuse.
Le cose prendono una cattiva piega quando la stessa fotografia esce su una rivista scandalistica che l’ha ripresa da “Le Point”, senza il permesso né dell’agenzia, né del fotografo. La didascalia che accompagna l’immagine dice: “Prostituzione ai Champs-Elysées“.
Questo aneddoto, tratto da “Fotografia e società” di Gisèle Freund, trova una fulminante sintesi nelle parole di Susan Sontag: «Ogni fotografia attende di essere spiegata o falsificata da una didascalia».
Proprio la didascalia è il filo conduttore di “Messa a parte”, una breve narrazione presentata dalla redazione della rivista di fotogiornalismo Fuoritema composta da 10 serigrafie fotografiche prese dall’archivio della rivista, per una lettura intersoggettiva in senso barthesiano.
Nel suo saggio “La camera chiara”, Roland Barthes invita ad un approccio […] quasi arcaico che, abbandonando la prospettiva semiologica, riporti il confronto e il dibattito sull’affascinante ed intrigante ambiguità dell’immagine fotografica e della sua pienezza analogica.”
L’intrigante ambiguità citata da Barthes è rappresentata, nella mostra, che si inaugura venerdì 13 dicembre e resterà aperta sino al 13 gennaio 2014 (clicca qui per gli orari) nella sede dell’Associazione S’Umbra, in via S. Giuseppe 17, con una intelligente e stuzzicante operazione di “copia/incolla dei significati”. Una falsificazione, paradossale riflessione sulla presunta oggettività della fotografia che si rivela invece “punto di vista” dai significati fatalmente adattabili, manipolabili, sostituibili.
«In questo lavoro — scrive Emanuela Falqui, curatrice della mostra — le didascalie, prese a caso da diversi libri, accompagnano le serigrafie e offrono un piano di lettura irrazionale delle immagini, quanto possibilista, sollecitando la percezione, amplificandone i significati e ironizzando su quanto l’interpretazione di un’immagine, che si considererebbe a volte un fatto oggettivo e rappresentante della realtà così com’è, possa mutare in relazione al contesto che la ospita».
Così una fotografia può raccontare tante storie, tutte credibili, tutte verosimili e tutte inevitabilmente false. Oppure, più raramente, raccontarne una sola: quella vera.
Enrico Pinna