Sono una ragazza di 21 anni con una vita apparentemente perfetta: non ho alcun problema concreto,nel senso che ho una famiglia stupenda con cui parlo di tutto, un ragazzo, una marea di amici e vado anche molto bene all’università. Scrivo perché sto vivendo un periodo che definirei il più brutto della mia vita: sei anni fa ho sofferto di attacchi di panico a seguito di un lutto in famiglia e ho iniziato a farmi domande esistenziali. Dopo aver assunto i fiori di Bach e dopo aver dialogato molto con i miei genitori, il brutto periodo è passato e sono tornata a fare la mia solita vita.
Oggi mi rendo conto che non sono mai stata serena al 100%: sentivo sempre una sorta di agitazione interna, ma ho sempre evitato di dare peso a queste sensazioni e ho continuato a pensare che le cose si sistemassero da sole e che dovevo rassegnarmi ad essere caratterialmente molto sensibile, eccessivamente altruista, perfezionista e anche un po’ masochista.
Purtroppo un mesetto fa, in un periodo apparentemente tranquillo in cui non avevo esami e non avevo praticamente nulla a cui pensare, mi sono ritrovata nuovamente a tartassarmi di domande esistenziali che oggi mi fanno sentire molto a disagio: “Cosa c’è dopo la morte?” “Che senso ha la vita?” “Come faccio a sapere che non è meglio morire se non so cosa c’è dopo?” “Ma sono io quella che compie le azioni?” “E se mi suicido dove vado?”
Ho già fatto un’autoanalisi di fronte al mio medico curante. Ho detto di essermi accorta di aver usato molte energie per tirare fuori degli aspetti del mio ragazzo che lui non mostrava e che io sapevo che c’erano (cercavo l’approvazione dei miei genitori nei confronti del mio ragazzo, in quanto loro non lo ritenevano molto adatto a me perché non ha finito le scuole superiori, lavora già e abbiamo uno stile di vita diverso. I miei pensavano che avessi bisogno d’altro, ma a loro adesso piace molto e sono contenti per me), ho fatto dei sacrifici per stare dietro alla sua vita (orari di lavoro, amici che io non avrei mai scelto) e ora che sembra che la nostra storia dopo sei anni sia maturata, forse mi sta venendo fuori lo stress.
Non ho quasi mai abbracciato mia mamma, come se ci fosse una sorta di muro fisico nei suoi confronti, e ho sempre pensato di non essere apprezzata da lei come mia sorella (in realtà lei non ha fatto nulla per farmi pensare ciò). Aggiungo che ho proprio il vizio di preoccuparmi eccessivamente degli altri, di immagazzinare i problemi altrui come fossero miei, di non accettare momenti di sconforto e di cercare sempre la verità assoluta (ecco perché forse penso spesso alla morte). Tutto ciò mi crea una sensazione orribile di estraniamento dalla realtà, di paura di impazzire, di paura di perdere il controllo.
Comunque sto facendo la mia vita, a parte il fatto che evito di studiare perché non me la sento proprio di sentirmi sotto pressione. Ma per il resto esco, vedo gli amici, alleno una squadra di pallavolo, mangio un po’ di meno ma regolarmente, dormo come sempre. Sono molto agitata la mattina appena mi sveglio perché sono assalita dallo sconforto, ma dopo un’oretta mi sento meglio. Ho il terrore di non poterne uscire,come se il mio destino fosse scritto.
Ho bisogno di sentirmi rassicurata sul fatto che non commetterò folli gesti, che non si può impazzire e che non ho bisogno di farmaci o psichiatra. Spererei che con dei colloqui dalla psicologa, tirando fuori i veri motivi dell’ansia che probabilmente sono latenti, potrò tornare ad una vita serena, anzi imparare ad accettarmi per quella che sono e a prendere le cose diversamente. Sono fuori strada?
Francesca
Cara Francesca, scusa intanto se ho dovuto tagliare alcune piccole parti della tua domanda. Parto dal fondo della tua mail. Non sei fuori strada: l’idea di iniziare un percorso psicoterapeutico non è affatto una cattiva idea, né lo sono molte delle domande poni. Mi piacerebbe capire quando e come ti sono venuti gli attacchi di panico e soprattutto come sono passati. Molto spesso la nostra vita ci pare perfetta, un meccanismo perfettamente oliato: amici, università, altruismo, un ragazzo che si ama, che si fa accettare anche ai genitori, genitori con cui si parla… insomma non proprio la perfezione ma quasi!
Allora ecco arrivare domande finalistiche, ultimative che ci creano ansia. A cosa servono queste domande? Forse sono domande “distoniche” che immettono un po’ di strade laterali nell’autostrada che hai costruito o che qualcuno ha costruito per te? Forse cercano di suggerire che la gabbia dorata che hai strutturato per te (o altri hanno strutturato per te) è appunto una gabbia?
Nella tua lunga lettera non c’è un momento in cui si comprenda cosa davvero Francesca desidera per sé, quali scelte ha operato pensandosi nel mondo e quali ipotesi ha scartato per sé e il suo futuro. C’è una bellissima canzone di Ivano Fossati, Il bacio sulla bocca, che, cito a memoria, recita così: “Tutta questa vita già avvenuta, scritta e interpretata da altri meglio che da te …” Sembra proprio che tu, più che vivere con felicità la tua vita, reciti un copione non so bene se scritto da te, ma certo da te interpretato salvo, poi, avere attacchi di panico (che normalmente sono un campanello d’allarme come ho già spiegato tempo fa in questo blog) o avere idee suicidarie.
Tranquillizzati Francesca, non credo che tu sia una persona “a rischio di suicidio”, mi pari assai innamorata della vita, forse non della vita che ora hai a disposizione, regolata e già decisa come una lunga strada senza deviazioni, curve, strade secondarie. E le domande che ti circolano per la testa sono “i diavoletti” che ti levano la tranquillità come se volessero avvertirti che “qualcosa va cambiato”, che non tutto ciò che è “giusto” lo è per te.
Non ascoltare le domande nei loro contenuti finalistici, ma il significato della loro presenza sì: cosa vogliono dirti in realtà? Cosa va cambiato nella tua vita e va semmai ri-strutturato in funzione di una Francesca che non hai mai forse ascoltato? Spesso mi sono trovato a suggerire un percorso terapeutico per “far luce” nella vita delle persone, a te suggerirei uno stesso percorso che sappia distinguere in un chiarore abbacinante che mi pare sia capace di nascondere (come il buio) con i suoi chiarori le ombre di cui hai bisogno, i dubbi che è lecito debba porti, le scelte che dovresti e devi affrontare con tutto il loro carico di incertezze e paure.
Tu non hai paura delle incertezze e non hai l’ansia per i dubbi, ma semmai hai l’ansia per certezze che ti sei appiccicata addosso, per una strada senza curve che dovrebbe farti felice, ma che non tiene conto della tua personalità, che non senti tua fino in fondo, che forse non ha fatto i conti con i tuoi gusti o addirittura con i tuoi desideri. Inizia un percorso clinico e ascoltati. Vedrai che le domande cesseranno e alcune autostrade ti appariranno tanto noiose che potrai abbandonarle per prendere stradine di campagna meno veloci e sicure ma che avrai scelto come cosa tua.
Antonello Soriga
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(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).