Ho 36 anni e sono laureato in scienze della formazione. Da circa dieci anni lavoro come educatore nei servizi sociali, sia attraverso delle cooperative che in rapporto diretto con l’utenza. Mi considero un buon professionista, ma negli ultimi tempi il lavoro sta cominciando a pesarmi sempre di più tanto che il mio interesse, un tempo genuino e curioso nei confronti degli utenti, è calato enormemente: le loro storie e problemi mi annoiano e comincio a trattarli con sufficienza e distanza. Apparentemente loro non sembrano accorgersi di nulla ma io comincio a vivere il lavoro come una gabbia. Non riesco a capire cosa stia accadendo.
Antonio
Caro Antonio, lei fa un lavoro molto difficile e scarsamente riconosciuto nella nostra società, come d’altra parte molte altre professioni che hanno a fondamento le relazioni d’aiuto. Purtroppo, quello da lei descritto, è un fenomeno molto diffuso fra gli operatori ospedalieri, quelli dei servizi sociali, gli insegnanti. Ma non ne sono esclusi anche coloro che esercitano professioni apparentemente meno legate al rapporto diretto con l’altro. Ha un nome: sindrome di burnout. E’ una sorta di depressione professionale per cui gli operatori a contatto con condizioni problematiche devono, obtorto collo, confrontarsi quotidianamente con problematiche difficili e stressanti, che talvolta risuonano dentro di loro, che mettono a dura prova il loro equilibrio interno.
Un modo per “difendersi” è allontanarsi emotivamente, mettere in moto meccanismi di alienazione (volontari o inconsci che siano) per cui le persone diventano numeri, utenti … cinicamente “cose da trattare”. Lei pare particolarmente sensibile perché’ spesso il fenomeno si mostra anche in modo evidente senza che chi lo vive lo avverta come un problema. In questi casi la persona si trascina ( e altrettanto da con le persone con cui entra in contatto) in un’attività che sente vuota, inutile e noiosa. Un’attività in cui prassi e modalità relazionali si ripetono senza un senso apprezzabile e costruttivo per nessuno. Quando questo accade e’ arrivato il momento di staccare la spina e di chiedersi, con calma e tranquillità,’ dove si sta andando e perché. Senza farne un dramma ma considerando questo stato una fase della propria professione.
A volte basta una breve (ma non troppo …) vacanza o un corso di aggiornamento, altre volte è necessario intraprendere un vero percorso di rinnovamento professionale indirizzando il proprio interesse su altri campi o a campi affini che diano linfa vitale alla professione che già’ si esercita. Forse per lei e’ arrivato il momento per iscriversi ad un Master di specializzazione o una nuova facoltà: progettare se stessi, darsi orizzonti nuovi di ricerca (scientifica e personale) spesso è una soluzione molto efficace. Ma, se non bastasse, è bene intraprendere un ciclo psicoterapeutico con un buon terapeuta sistemico – relazionale o a indirizzo gestaltico che potrebbe sicuramente trovare, assieme a lei, delle vie d’uscita.
Antonello Soriga
Chi ha un caso da segnalare o un parere da chiedere scriva a psychiatrichelp@sardiniapost.it. Saranno ovviamente garantiti totale riservatezza e anonimato.
(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).