I fiori di Anna Marceddu al Trigu di Cagliari

I fiori occupano, da sempre, un posto privilegiato nel nostro immaginario emotivo e simbolico. Umili o nobili, tutti sono portatori di una intrinseca bellezza. Selvatici o coltivati con cura, i fiori parlano un linguaggio universale. Nascono dappertutto: nei boschi, sui bordi delle strade, sulle pietraie o, come cantava Fabrizio de Andrè, dal letame. I fiori di Anna Marceddu, fotografa di Ittiri, sono fiori umili e nascono nei campi. Più precisamente nei campi Rom. Sono i bambini che lì sono nati  e, appena sbocciati, hanno già davanti una vita segnata.

“Fiori di campo”, la mostra di Anna Marceddu allestita al Trigu, in via Corte d’Appello 2 a Cagliari e aperta dall’11 al 21 giugno 2015 sintetizza con ventisette fotografie, splendidi ritratti di bambini dagli sguardi pieni di innocenza e di speranza, dodici anni di lavoro nei campi nomadi di Cagliari. Dapprima in via San Paolo alle porte della città, e in seguito in quello di Selargius.

E’ un tema difficile e, soprattutto di questi tempi, per niente popolare. «I Rom — dice la fotografa — sono accompagnati da una diffusa diffidenza che sfocia facilmente nell’odio razziale. Il mio interesse è nato dalla curiosità di indagare questo mondo facendolo senza pregiudizi e cercando di vincere l’ostilità che fatalmente ha frustrato i miei primi tentativi di contatto. Sono state le donne ad accogliermi ed introdurmi nel loro mondo.»

«Paradossalmente — continua l’autrice — in tanti anni ho scattato poche immagini, quelle dei momenti che ritenevo più significativi ed evitando di far sentire troppo invadente la mia presenza. Ho iniziato con il bianco e nero e con immagini ambientate. Ma mi sembrava un modo già visto di raccontare questa realtà. Sono quindi passata al colore e ho cercato inquadrature più ravvicinate, un modo per entrare più a fondo nelle loro intimità».

Fiori di campo è un viaggio contro lo stereotipo e il pregiudizio. Infatti lo sguardo fotografico di Anna Marceddu non è pietoso. E’ uno sguardo diverso, sensibile ed attento alla dignità dovuta anche a chi vive in un mondo ai margini. E lo sguardo fiducioso che i bambini restituiscono all’osservatore sono un invito ad essere visti con occhi diversi.

Un invito rivolto a tutti, anche a quelli che dicono “Io non sono razzista, ma gli Zingari non li sopporto!”.                                                A quelli che invece professano il salviniano grido di battaglia “bruciamo i campi!” l’invito è ad aprirli, gli occhi. 

Perché i Rom sono necessari, e non solo per i motivi simbolici espressi da Michele Santoro nella introduzione alla puntata di Announo del 18 giugno, “Perché rappresentano il viaggio, la fantasia, la favola che si tramanda di bocca in bocca, rappresentano il rifiuto del denaro. Mettiamoli in galera, quando delinquono, ma eliminarli no, perché altrimenti elimineremmo lo zingaro che è dentro di noi”.

I Rom sono necessari soprattutto perché sulla loro pelle (Roma Capitale insegna) si gioca una lotta politica di personaggi e schieramenti che in pubblico si riempiono la bocca di sciocchezze su di loro e in privato si riempiono le tasche, lucrando sui soldi destinati ai campi di accoglienza.

Enrico Pinna

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