Noi piccolini le chiamavamo Zia Maria Lai e Zia Giuliana Pisu, come si fa coi parenti.
Quelle due sorelle artiste, minute, affettuose,carismatiche nella loro modestia, erano legatissime alla mia famiglia e ci trattavano come fossimo loro nipotini.
Erano come parte della stessa comunità, con Nonna Teresa, Mamma, e le altre tre sorelle Crespellani.
La nostra casa era intrisa e glorificata dai loro bozzetti, dai loro quadri, dai cestini, i bellissimi telai, i coprilibro, le ceramiche, i pani coccoi, le pareti del caminetto con le sue pietre, le stoffe dipinte dell’armadio di papà e mamma.
Spesso mi distraevo davanti al lettone dove ci inginocchiavamo per dire le preghiere prima di andare a letto, fissando i ritratti di noi sette figli che zia Maria Lai ci aveva fatto il giorno che avevamo compiuto un anno.
Erano li, tutti in fila incorniciati e ancora sono li a ricordarci la sua vicinanza e spiritualità.
Due settimane fà, chissà per quale premonizione, mentre ero a pranzo dai miei genitori, ho fotografato il mio ritratto per tenerlo nel telefonino e conservarlo gelosamente. Rimarrà la mia più bella fotografia da bambino.
Lei , Zia Maria Lai, con la sua manualità aveva trasmesso la passione per l’arte alle sue amichette.
Sopratutto a Zia Maria Puddu Crespellani, che aveva iniziato a lavorare la creta e a fare i nostri ritratti e i suoi minipresepi con l’ ispirazione e il buon consiglio di Zia Maria Lai.
Per il mio battesimo in aereo, quando avevo 9 anni, zia Nanna mi portò a Roma.
“Starai da zia Maria Lai -mi disse- ti troverai bene. ”
Mi portò a Monte Mario da Maria Lai e ho questo ricordo offuscato, da piccolo bambino, di quando entrai nel suo ‘laboratorio’ pieno di cose…..
Non so se feci i capricci o cosa feci di male (lo scoprii più tardi), ricordo però che a un certo punto mi prese per mano e mi disse:
” Andiamo via da qui che è pericoloso per te. Ti faccio conoscere zio Giuseppe, un altro sardo come noi.”
Scoprii vent’anni dopo che quello simpatico zio Giuseppe, era Giuseppe Dessi, lo scrittore.
Ma passarono più di quarantacinque anni prima di scoprire perché Zia Maria Lai mi aveva portato via dal suo laboratorio.
Al primo varo di ‘Vento di Sardegna’ mi avvicinai ad abbracciarla tra tanta gente e baciandola le dissi:
” Ciao Zia Maria, mi riconosci ? Sono Pietrino, il figlio di Margherita. ”
E lei di rimando col suo inconfondibile sorriso: ” E certo che ti riconosco, l’americano….se penso allo spavento che mi avevi fatto prendere quando ti eri messo a giocare a pallone tra le mie opere d’arte nella casa di Roma…..”
Zia Maria Lai, se me lo consentite, aveva ispirato qualcosina anche a me che non sono artista.
Il grande quadro nella sala da pranzo che rappresentava un uomo negli abissi del mare lo guardavo e riguardavo da bambino sognando una vita da pesce tra gli oceani. Mi faceva sognare mondi subacquei.
Da trentenne, all’esordio come organizzatore, mi ricordai di quando da boy-scout andavamo a fare il campo estivo ad Ulassai e della ‘legatura’ che Maria Lai fece del paese alla montagna con dei fili.
Con lo stesso principio, per legare il mare e le isole alla costa, inventai i ‘percorsi natura’. Anziché le gare al largo tra barche e boe di plastica, decisi che coi windsurf si partiva e si arrivava sul bagnasciuga, usando le isole e gli scogli come metà percorso.
Ho ancora viva la lunga chiacchierata che facemmo, mi pare una decina di anni fa nello studio LIXI, quando mi parlò entusiasta del suo viaggio in Giappone. Di come si sentisse a suo agio tra tanti esseri umani piccolini come lei che vivevano in spazi piccoli e ben organizzati.
“Mi verrai a trovare alle Hawaii, zia Maria ?”
“Chi lo sà, è più probabile che sia già nell’altro mondo. Sarà più facile che sia tu a venirmi a trovare in paradiso.”
Certo zia Maria, ti raggiungerò con piacere quando sarà il momento. Prometto di non disturbarti troppo e di non giocare a pallone. Ti immagino già indaffarata tra le nubi dell’aldilà, in un angolino del paradiso che allunghi fili, lavori al telaio, ritagli carte e cartoni, modelli su pani coccoi e sorridi dolce a chi ti si avvicina.
Pietro Porcella