Al Lazzaretto di Cagliari Romano Cagnoni e la sua “Fotografia Totale”

Dopo Palau e Sassari la mostra “Fotografia Totale” di Romano Cagnoni approda al Lazzaretto di Cagliari dove resterà sino al 22 novembre. La mostra si compone di 44 immagini ed è realizzata con la collaborazione dell’Associazione Sarditudine all’interno della rassegna Figuras, un’iniziativa di Ogros-fotografi associati.

Romano Cagnoni è il fotoreporter italiano più famoso al mondo. In oltre quarant’anni di professione, ha fotografato nei teatri di guerra di tutto il pianeta, dal Vietnam alla Cecenia, dalla ex Jugoslavia all’Irlanda del nord. I suoi servizi sono stati pubblicati dai quotidiani di tutto il mondo e le sue foto sono apparse sulle copertine dei più grandi magazine.

Nel libro “Pictures on a Page” Harold Evans, ex direttore dell’inserto domenicale del prestigioso quotidiano londinese Sunday Times, lo ha recentemente citato, con Henry Cartier-Bresson, Bill Brandt, Don McCullin e Eugene Smith come uno dei più famosi fotografi al mondo. E visitando la mostra si ha la conferma che l’accostamento non è affatto fuori luogo. Siamo in presenza di uno dei grandi del fotogiornalismo di tutti i tempi.

Nato nel novembre del 1935 a Pietrasanta, inizia a fotografare nel dopoguerra. Nel ’58 si trasferisce a Londra, dove conosce Stefan Lorant e Simon Guttmann, considerati fra i fondatori del fotogiornalismo moderno. Inizialmente collabora con Guttmann ed è il primo fotografo occidentale di stampa non comunista a venire ammesso nel Vietnam del Nord. In seguito decide di lavorare come freelance.

Realizza reportage sul Biafra, sulla guerra di Logoramento in Egitto, sulla Palestina, sul Cile di Allende, raccontato insieme allo scrittore Graham Greene, sulla guerra del Kippur in Israele e su tantissime altre storie. In tempi più recenti documenta la guerra in Yugoslavia dove, con un banco ottico, allestisce uno studio a Grozny, in Cecenia, durante i combattimenti e racconta la vicenda della città di Kobane in Siria”

La mostra è un intenso ed affascinante viaggio nella storia, declinato da Cagnoni con un linguaggio forte e coinvolgente. I suoi reportage sono indagini visive che pongono l’uomo al centro di un lungo racconto che mostra, attraverso i suoi sguardi e una grammatica visiva apparentemente semplice nei tratti ma in realtà estremamente sofisticata, la sofferenza, gli orrori, le contraddizioni di una società colta nei suoi cambiamenti epocali e nei suoi conflitti più assurdi e sanguinosi.

Il viaggio di Romano Cagnoni attraverso sessant’anni di eventi è una testimonianza  riportata con sguardo attento e padronanza della tecnica e del linguaggio fotografico assoluta, anzi “totale”. Le sue immagini hanno i caratteri che distinguono la fotografia dei grandi: quella di resistere al tempo, di prestarsi a riletture formali e sostanziali che le rendono modelli sempre validi ed attuali. Una fotografia rigorosa, che nulla concede all’estetica a buon mercato, che riesce ad essere un punto di riferimento imprescindibile, in un momento in cui la fotografia e, più in generale, l’informazione imboccano nuove strade, spesso lastricate di cattive intenzioni.

In occasione delle precedenti uscite della mostra avevo avuto l’occasione di intervistare Cagnoni. Ripropongo l’intervista arricchita di nuove domande.

Cos’è per te la Fotografia Totale?

La fotografia diventa totale quando è in connessione con l’esistenza, quando è allo stesso tempo racconto visivo (possibilmente innovativo), indagine psicologica e documentazione di eventi.

Ha ancora un senso la fotografia di guerra fatta di immagini troppo spesso ripetitive ?

La guerra è sempre quella, non cambia. Ma è ancora indispensabile raccontare i conflitti e la miseria del mondo. La guerra è dolore, sofferenza, morte ma è anche straordinaria rivelazione dell’animo umano. E un fotografo attento può andare oltre e trovare le situazioni che rendano una fotografia diversa e unica.

Il fotogiornalismo è un mestiere in crisi. Qual’è la tua valutazione?

Ci sono ragioni economiche legate alla crisi mondiale dell’editoria e al fatto che la buona fotografia costa. Ma ci sono opportunità nuove che si aprono, soprattutto legate al Web.

In che modo il Web può aiutare la fotografia?

Non solo offrendo nuovi spazi, ma anche contribuendo all’educazione all’immagine di cui c’è tanto bisogno. Mi spiego meglio: oggi gli utenti della rete vedono milioni di fotografie. Col tempo affineranno il loro senso critico discriminando più facilmente le buone immagini da quelle cattive. E questo farà molto bene alla fotografia.

É esplosa la moda delle foto fatte con gli smartphone, che riescono ad avere spazio anche nelle pagine di importanti magazine. Cosa ne pensi?

Quelle foto sono documentazioni occasionali, a volte uniche ma casuali di fatti di cronaca. Ma le grandi fotografie non nascono mai per caso. Ci vuole un fotografo che sia padrone del linguaggio fotografico e del mezzo tecnico.

Sta prendendo piede, incoraggiato anche da alcuni importanti concorsi come il WPP o il Sony Awards, la proposizione di storie confezionate con tecniche di storytelling e, talvolta, con l’uso di attori al posto dei veri protagonisti. Qual’è il tuo giudizio?

Questa non è fotografia ma cinema, uno strumento di racconto diverso. Inseguendo il suo linguaggio e le sue tecniche la fotografia ne uscirebbe perdente. Il reporter deve raccontare le storie attraverso le espressioni, gli sguardi, i gesti, i sentimenti dei protagonisti, non attraverso quelli di attori che recitano la parte.

Nonostante la fotografia mostri un’apparente floridezza molti ne annunciano la morte imminente. Qual’è la tua opinione?

La fotografia è uno strumento giovane e ha ancora tanto tempo davanti a sé. E fino a quando conserverà la sua straordinaria capacità di raccontare non morirà mai.

Enrico Pinna

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