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Alcoa, dopo le passerelle dei politici si attende una svolta

La lunga agonia della vertenza Alcoa potrebbe presto arrivare all’epilogo. Un epilogo che potrebbe avere dei risvolti drammatici per il Sulcis Iglesiente. Che nessuno è in grado di prevedere. Per le implicazioni che questa vertenza riveste in ambito economico ma anche in quello sociale.

I lavoratori diretti e degli appalti sono consapevoli del grave rischio che stanno correndo. Sono circa 1000 le buste paga che non ci sono più. Senza contare tutte le altre imprese che gravitavano attorno all’Alcoa, almeno tre volte tanto. Oggi quei lavoratori sono quasi tutti in mobilità. Quelli che non lo sono più, hanno perso anche quella. Fino ad oggi hanno atteso, invano, che i governanti regionali e nazionali portassero a casa il risultato che tutti attendono, ossia la riapertura delle fabbriche.

Numerose le “passerelle” politiche e sindacali. Hanno anche creduto alle promesse del premier Matteo Renzi, quando sono andati a trovarlo quest’estate, durante la sua visita al Mater Olbia, secondo le quali sarebbe tornato a settembre per riavviare la fabbrica. La fabbrica invece continua a dormire, silenziosa come non mai, e ad invecchiare mangiata dalla ruggine.

Le notizie che giungono da Bruxelles sono invece di continui rinvii di una decisione sulle tariffe elettriche di cui nessuno ne capisce il senso. Il tempo passa, inesorabile. E più passa il tempo, più si allontana la possibilità che lo stabilimento possa essere acquistato. Ecco allora che gli operai, esasperati e stanchi di aspettare, hanno deciso di uscire da quelle tende montate un anno e mezzo fa davanti all’ingresso della “loro” fabbrica in attesa di una risposta che non arriva. Per far sentire, ancora testardamente, la loro voce attraverso quel rumore sinistro del caschetto battuto a terra e rivendicare un diritto sacrosanto: quello del lavoro. L’unico lavoro possibile, in questo momento, in un territorio martoriato, che non offre alternative credibili e verosimili. Il lavoro in una fabbrica, insieme alle altre del polo industriale, che ha dato benessere a un territorio intero per almeno quattro decenni.

Certo, è vero, le fabbriche metallurgiche inquinano. Negli ultimi anni, però, sul versante ambientale molto è stato fatto per abbassarne l’impatto. Molto resta ancora da fare. Lo stop di queste produzioni, invece, ha fatto precipitare il Sulcis Iglesiente in una crisi che non ha precedenti dal dopo guerra. Gli operai si chiedono perché l’alluminio viene prodotto in tutta Europa, e nel resto del mondo, ma non può essere prodotto ancora anche in Italia. Un alluminio, fra l’altro, che gli utilizzatori hanno sempre definito di eccellente qualità.

Che cosa è accaduto allora, dopo il 2012, quando l’ultima cella elettrolitica è stata spenta? Niente. Assolutamente niente. Tutti gli operai sono stati collocati in cassa integrazione, fino allo scorso 31 dicembre. Dal primo gennaio 2015 tutti i dipendenti diretti sono stati collocati in mobilità, ossia licenziati. Enormi le responsabilità per questo epilogo sia in ambito politico che sindacale. A tutti i livelli.

Il 13 novembre 2012 (fra pochi giorni saranno tre anni esatti) vennero i ministri Passera e Barca e l’allora sottosegretario Claudio De Vincenti per la firma del Piano Sulcis, nella miniera di Serbariu. Il presidente della Regione era Ugo Cappellacci. Un progetto che, in origine e prima del suo stravolgimento per mano dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti, avrebbe dovuto risollevare le sorti del territorio. Era prevista la salvaguardia e il rilancio del polo industriale esistente, con in primo piano l’Alcoa, la metanizzazione della Sardegna col gasdotto Galsi, la bonifica delle aree minerarie dismesse, le infrastrutture per lo sviluppo locale come strade, ferrovie e il porto di Portovesme. E ancora la valorizzazione di attività legate all’ambiente, al turismo, alla nautica e la tanto decantata filiera agroalimentare, destinataria proprio in questi giorni di cospicui finanziamenti regionali. Sarebbe dovuta essere una giornata storica, se fossero stati mantenuti quei propositi. Invece, proprio a causa della vacuità del progetto “stravolto”presentato, si trasformò in una tragica giornata carica di tensioni sfociata poi in scontri feroci con le forze dell’ordine. I ministri dovettero abbandonare Carbonia a bordo degli elicotteri, in una “fuga” storica. Dei progetti del Piano Sulcis, a oggi, poco o niente è stato fatto.

Qualche progresso, in realtà, si deve registrare. Esattamente un anno fa, a Roma veniva firmato il protocollo d’intesa tra l’Alcoa, la Glencore e il Ministero dello Sviluppo Economico per la cessione dello stabilimento di alluminio primario. La multinazionale svizzera Glencore, infatti, da tempo ha espresso il suo interesse per lo stabilimento di alluminio, che si intreccia con le sorti dell’altro suo stabilimento, la Portovesme srl, anch’essa bisognosa di un regime energetico preferenziale, anch’esso in scadenza, senza il quale anche queste produzioni sarebbero destinate alla chiusura.

Il Governo italiano, con quel protocollo, si è impegnato a favorire la cessione dello smelter di Portovesme superando il problema del costo dell’energia. Sempre quello. Lo ha fatto producendo una proposta che è stata sottoposta alla commissione per l’energia dell’UE. In buona sostanza la proposta prevede l’utilizzazione della “interrompibilità” o della versione super di questo strumento. Da chiarire subito che non si tratta di sconti o contributi statali. E’ una pratica utilizzata in tutto il mondo. L’Alcoa in Spagna la utilizza da anni. Da allora si è andati avanti a suon di rinvii e rassicurazioni che “tutto procede bene”. Ma per gli operai, che hanno le famiglie da sfamare, non procede per niente bene. E non va meglio neppure per l’altro stabilimento, primo anello della filiera, che produce l’ossido di alluminio, l’Eurallumina, alle prese con le autorizzazioni ambientali che rischiano di impantanarsi nei corridoi ministeriali e regionali. E che dire poi della vicina centrale Enel Grazia Deledda, anch’essa a rischio chiusura con altri 300 posti di lavoro. Ecco perché la stagione di lotta degli operai Alcoa, di quelli dell’Eurallumina e delle imprese d’appalto è rincominciata. Perché è iniziato il conto alla rovescia della distruzione del polo industriale di Portovesme.

Che cos’è lo strumento della interrompibilità? E’ una pratica che consente di governare l’offerta di energia elettrica in funzione della variabilità della domanda, prevenendo malfunzionamenti nella distribuzione e black out generalizzati. La variazione del carico è avviata da un operatore che comanda il distacco di alcuni utilizzatori in uso a quegli utenti che hanno stipulato contratti in base ai quali essi accettano tale disconnessione; ciò in cambio di una riduzione delle tariffe o di uno specifico riconoscimento economico.

In Italia il servizio è offerto da Terna (gestore della rete elettrica italiano e soggetto privato) che, tramite la propria rete di telecontrollo, interviene sugli interruttori presenti in alcuni siti industriali o utenze considerate “energivori” (con potenza media mensile maggiore o uguale a 1MW), i cui titolari acconsentono di subire un’interruzione della fornitura di energia elettrica. La “super interrompibilità” è tecnicamente identica alla interrompibilità ma riceve una remunerazione economica doppia e vale solo per le isole Sicilia e Sardegna. Questo perché la rete elettrica delle isole ha particolari criticità dal punto di vista del bilanciamento elettrico.

Criticità che proprio in questi giorni sono state messe in discussione dal gestore elettrico con il tentativo di cancellare lo strumento della Essenzialità. Decisione che è stata immediatamente contestata dai sindacati per le conseguenze che questo provvedimento avrebbe sull’equilibrio del sistema elettrico isolano. Lo strumento della interrompibilità è consentito in virtù di un pronunciamento della Commissione Europea del 26 maggio 2010 e prorogato fino al 2015 poiché, a giudizio della stessa Commissione, lo stesso non costituisce aiuto di Stato, dato che tali servizi sono ancora necessari e vengono remunerati al valore di mercato. Il pacchetto energia predisposto dal Governo italiano vale 400 Mw per la Sardegna e 200 Mw per la Sicilia.

Carlo Martinelli

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