Dal primo marzo prossimo il volontariato sardo cambia referente: il nuovo gestore diventa il Centro Servizi Sardegna che a fine dicembre ha ottenuto l’accreditamento in via definitiva per i prossimi sette anni. Il nuovo Csv, che da febbraio 2022 ha il controllo provvisorio del Terzo Settore, va a sostituire Sardegna Solidale, in sella dal 1998. Nel mezzo decine di ricorsi promossi dal Centro servizi uscente, una battaglia legale che arriva da lontano, da quando nel 2005 in Consiglio regionale si era consumato il primo strappo. Sardinia Post ha deciso di intervistare Franco Marras, uno dei promotori del nuovo Csv.
Presidente Marras, tra meno di due mesi parte il vostro settennato e lei ha appena lasciato la guida delle Acli. C’è correlazione tra i due eventi?
Alle Acli, dove nel 2016 arrivai in maniera quasi casuale, il mio compito è concluso. L’obiettivo era costruire una nuova classe dirigente e così abbiamo fatto in questi anni, da quando venni chiamato per sostituire Fabio Meloni, a sua volta ingaggiato dalla presidenza nazionale. Sono state sei anni di crescita e progetti, di risultati e insegnamenti.
A proposito di progetti, da presidente delle Acli ha lavorato anche alla costruzione del nuovo Csv appena accreditato.
C’era il bando, si è aperta una opportunità e ci abbiamo creduto.
Dal Csv uscente sostengono che fosse tutto scritto.
Subentriamo nella gestione del Terzo Settore dopo la lunghissima egemonia di Sardegna Solidale che per ventitré anni è stata protagonista. La nostra proposta nasce dalla necessità di modificare e riportare il Csv isolano alla ragione per cui nacque alla fine degli anni Novanta. Il Centro Servizi, a differenza di come è stato dal 1998 a oggi nell’Isola, non è un sindacato dei volontari. Quasi una super associazione tra le associazioni no profit. Questa è una distorsione. Il Csv ha la funzione di erogare servizi e garantire supporto tecno-operativo per favorire la crescita del volontariato, il suo radicamento, la possibilità delle persone ad avvicinarci a un impegno sociale e civile. Le associazioni si devono organizzare in maniera autonoma, compito del Csv è fornire loro gli strumenti per svolgere al meglio la propria missione.
Le Acli hanno mai aderito al precedente Csv Sardegna Solidale?
No, semplicemente perché non potevamo. Solo con la riforma del 2017 i Csv sono stati autorizzati a rappresentare l’intero associazionismo, incluse le associazioni di promozione sociale come le Acli. Il vecchio quadro normativo stabiliva che a un Csv potessero aderire solo le organizzazioni di volontariato.
Nel vostro Centro Servizi chi c’è?
Al momento siamo quindici, tra organizzazioni di piccole, medie e grandi dimensioni. Tutte con un comune denominatore: il radicamento territoriale. Mi riferisco a Legambiente, Arci, Uisp, Anpas, Auser, Aido, Prometeo, Rete sarda diabete, Nuoro migrantes, Arcoiris e tre associazioni di Protezione civile.
Quanti associazioni di volontariato ci sono in Sardegna?
In Sardegna non credo ci sia Comune, tra i 377 che si contano, dove non esista almeno una associazione. Dal servizio di soccorso a quelle sportiva. Una delle peculiarità della Sardegna, quasi un tratto distintivo, è la particolare attitudine alla solidarietà.
Voi partite da quindici. Che percorso vi aspetta?
Sotto il profilo strettamente operativo, si tratta di riportare la visione del Csv nella direzione di cui si diceva prima: luogo al quale ci si rivolge perché si ha un problema, una necessità. Sta entrando in vigore, in maniera piena e definitiva attraverso il Codice del Terzo settore, l’obbligo per le associazioni di adeguare i propri Statuti. Si tratta, giusto per citare un esempio contingente, di una azione non semplice. Ecco: noi stiamo lavorando alacremente per sostenere le associazioni in questo passaggio che è fondamentale per ottenere l’iscrizione al Runts, il registro unico. Diversamente si resta fuori dall’associazionismo.
Come si articola un Csv?
Per legge, la struttura è quella di una organizzazione di volontariato. Nel nostro la presidente è Lucia Coi che ricopre lo stesso incarico nell’Anpas regionale. Il vice è Giovanni Manca, rappresentante della Uisp. C’è poi un Consiglio direttivo composto da soggetti eletti dall’Assemblea. Noi abbiamo scelto di essere presenti da subito anche nei territori: per questo abbiamo aperto uno sportello nei quattro capoluoghi delle Province storiche. Il Centro Servizi Sardegna è operativo a Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro. In ogni sportello abbiamo assunto degli operatori che stanno garantendo supporto e assistenza alle associazioni. L’organigramma prevede poi che ci sia un’ulteriore articolazione di governance con il compito di coordinare e gestire le funzioni operative: di questo se ne occuperanno il direttore e un segretario generale.
Ci sarà lei in una di queste due caselle?
È in fase di approvazione una manifestazione di interesse per il reclutamento di quanti intendano candidarsi per ricoprire i due incarichi. Verrà pubblicata la prossima settimana sul sito www.csvsardegna.org.
Altro nodo che sta emergendo con la riforma del Terzo Settore è l’approvazione dei bilanci.
Il nostro Centro Servizi Sardegna anche su questo fronte sta garantendo supporto. Del resto sino a oggi le associazioni di volontariato erano tenute a presentare solo una sorta di nota spese. Con la riforma, invece, sotto i 250mila euro diventa obbligatoria la rendicontazione, mentre sopra questa soglia è necessario redigere un bilancio vero e proprio, con tanto di stato patrimoniale. Sul nostro sito, a disposizione di tutte le associazioni, ci sono i format che si possono utilizzare in maniera agile.
Torniamo alla battaglia legale col Csv uscente che nei tanti documenti diffusi in quest’ultimo anno ha scritto a chiare lettere di destino segnato per loro fin dal 2005. Cosa successe nel dicembre di quell’anno in Consiglio regionale?
La massima assemblea sarda stava riorganizzando i servizi socio-sanitari della Sardegna attraverso la legge 23. In quel corpus normativo venne inserito anche un articolo che rendeva i Csv non più un’unica struttura di regionale ma prevedeva quattro Centri territoriali, coincidenti con le Province storiche. Ci fu una alzata di scudi promossa da Sardegna Solidale, che in quel momento era titolare del Csv sardo: l’articolo in questione venne stralciato dal testo della legge 23 e saltò la territorializzazione.
Sino al 2019 non è successo più nulla. Tre anni fa, invece, un nuovo round.
Sì, con la riforma del Terzo Settore l’Onc, l’Organismo nazionale di controllo, ha pubblicato una manifestazione di interesse rivolta ai gestori dei Csv, i quali potevano candidarsi a proseguire l’attività. Per i titolari dell’accreditamento, come nel caso di Sardegna Solidale, sarebbe bastato manifestare la propria disponibilità a continuare nell’esercizio delle funzioni. Ma nella nostra Isola, unica regione d’Italia in cui è successo, la domanda è stata presentata non dall’associazione “La Strada”, titolare del Csv dal 1998, ma da soggetto, non meglio identificato sotto il profilo giuridico, denominato appunto Sardegna solidale. Il quale non è mai stato titolare di alcun accreditamento.
Stesse persone, in ogni caso.
Da un punto di vista formale, in presenza di un bando pubblico fanno fede le carte e i documenti. In ragione di questo fatto, l’Onc si è trovato nella condizione di imporre lo stop all’attività di Sardegna Solidale e, dopo ripetuti scambi con i vertici del Csv uscente, ha pubblicato un nuovo bando col quale ha affidato la gestione del Centro Servizi isolano a un nuovo soggetto.
Sardegna Solidale ha sostenuto che tutto fosse deciso dall’alto.
Sono stati paventati complotti di ogni genere. In realtà l’errore formale è stato marchiano e l’Onc non ha potuto far altro che assegnare l’accreditamento a un nuovo operatore. A noi, nella fattispecie. Da lì sono cominciate proteste, petizioni e fantasiosi scenari. Ma mai è stato spiegato chi e con quale obiettivo si stesse compiendo la presunta imboscata. Tuttavia, nelle more dell’espletamento del nuovo bando, per tutto il 2021 la gestione del Csv isolano è rimasta in mano a Sardegna Solidale che a giugno dello stesso anno ha partecipato alla gara includendo due cooperative sociali e un’impresa sociale, la cui presenza nella compagine era però vietata dalla legge. Da lì il secondo marchiano errore.
Quel bando del 2021 è stato annullato. Come mai?
L’Onc ha rilevato una inadempienza anche nella nostra proposta: al momento della partecipazione al bando non era stato completato l’iter di iscrizione al Registro regionale delle Odv. Tuttavia anche nel 2022, sempre nelle more della nuova gara da espletare, scaduta il 30 giugno scorso, la gestione del Csv è stata affidata in via provvisoria. In quel caso al nostro Centro, la cui proposta operativa alla fine è stata valutata la migliore, ciò che a dicembre ci ha consentito di ottenere l’assegnazione definitiva dell’accreditamento per i prossimi sette anni. Tutto questo dentro un percorso accidentatissimo fatto di ricorsi, ma i cui scenari demo-pluto-giudaico-massonici contro Sardegna Solidale non hanno trovato riscontro nelle sentenze.
Dal 1° marzo cosa cambierà nel volontariato della Sardegna?
Adesso il grande lavoro da fare è ricostruire un clima sereno dopo gli ultimi due anni in cui, nel tentativo di mantenere lo status quo che durava dal 1998, sono stati avvelenati i pozzi. A Sardegna Solidale, purtroppo, non si può riconoscere il merito di aver rinnovato il Terzo Settore né allargato la base di partecipazione, oltre alla già citata funzione distorta del Csv. Serve dunque ricondurre ciascuno al proprio ruolo.
Il Centro Servizi Sardegna da cosa riparte?
Dalla formazione senza dubbio, ma anche dalle iniziative che possono spingere le persone a diventare protagoniste dell’associazionismo attraverso un impegno pieno e diretto. Altro obiettivo è abbattere l’età media dei volontari. Da subito ci occuperemo anche di consolidare la struttura organizzativa del Csv attraverso il reclutamento di competenze professionali indispensabili per dare supporto alle associazioni e lavorare per la loro crescita.
Quante risorse avete a disposizione?
Il fondo che arriva dall’Onc è di un milione e 300mila euro annui con tre step di monitoraggio perché la qualità di un servizio non può che dipendere anche dalla correttezza della spesa.