Le (poche) elette nel nuovo Consiglio regionale: “Mai più senza la doppia preferenza di genere”

È l’8 marzo amaro delle donne in politica: un bicchiere che, comunque lo si guardi, appare quasi vuoto. Sono solo quattro (su sessanta) nel nuovo Consiglio regionale, il 6,6 per cento. Una situazione determinata non solo e non tanto dalle scelte degli elettori, perché prima ci sono state quelle dei partiti: nella composizione delle liste e nella definizione dei meccanismi della nuova legge elettorale.

La garanzia di un’adeguata rappresentanza femminile, infatti, è stata  affossata a giugno dal voto segreto che ha bocciato l’introduzione della doppia preferenza di genere. Si è solo stabilito di garantire un terzo dei posti in lista alle donne. Ma alla fine, per una norma di sospetta costituzionalità sugli arrotondamenti matematici, nemmeno questa proporzione è stata del tutto rispettata. Col clamoroso caso dell’Ogliastra che non ha candidato nemmeno una signora.

A ripristinare norme che garantiscano la rappresentanza puntano le poche elette. Sia chi, come Alessandra Zedda, ritorna nell’aula di via Roma (nella coalizione di centrodestra), sia chi, come Anna Maria Busia e Rossella Pinna, vi entra per la prima volta. Una battaglia alla quale dovrebbe unirsi pure la più giovane del quartetto, Daniela Forma, classe ’77 che per ora, e sino alla proclamazione degli eletti, preferisce restare ai margini del dibattito.

“I risultati elettorali – dice la Zedda – hanno dimostrato che inserire un terzo di donne in lista non basta. Occorre certamente trovare un correttivo più incisivo per colmare il vuoto della presenza femminile nelle istituzioni. Probabilmente, la doppia preferenza può essere una soluzione. Però, vedrei bene anche un 50 per cento di donne e altrettanti uomini a comporre le liste”. Alessandra Zedda, assessore uscente alla Programmazione, è un’eccezione nell’eccezione. In provincia di Cagliari, dov’era candidata con Forza Italia, è arrivata davanti a tutti, raccogliendo oltre 5.500 voti, uno smacco per i colleghi.

“Esattamente perché ce l’abbiamo fatta – concorda la Busia, avvocato, eletta a Cagliari col Centro democratico –  abbiamo il dovere di favorire pari condizioni di accesso alla politica”. E cita uno uno studio dell’Unione Europea: “È dimostrato che, in una prima fase, per favorire la partecipazione femminile è necessario introdurre sia la parità di genere nelle liste, sia la doppia preferenza”.

A Rossella Pinna, sindaco di Guspini, eletta nel Medio Campidano col Pd, ex assessore sia in Comune che in Provincia, le quote rose non sono mai piaciute. “Ma mi rendo conto – sottolinea – che siamo in una situazione di emergenza: servono strumenti straordinari, come la doppia preferenza, per riequilibrare la partecipazione in politica. La Sardegna e l’Italia devono fare un salto culturale che va sostenuto e incentivato”.

Ma le donne sono davvero senza colpa, se restano fuori dalle istituzioni? La prima risposta si trova nei numeri delle Regionali. A leggere i dati del 16 febbraio, emerge che le quattro elette hanno raccolto grosso modo 11.000 preferenze (sulle 774.939 totali). Alle urne si sono presentate 386.790 donne (su 754.489 aventi diritto al voto). Cioè, le donne non hanno votato le donne. Inoltre si sono astenute in misura maggiore rispetto agli uomini: il 48,74 per cento contro il 46,45 di maschi, che sono numericamente inferiori (sono 724.795 e si sono presentati alle urne in in 388.140).

“È vero- commenta la Pinna – le donne hanno la tendenza a non fare lobby, sono fanno squadra e va anche detto che in queste elezioni sulle candidature al femminile non c’era un’ampia scelta. L’accesso alla politica non si realizzare nel momento in cui si finisce in lista, ma bisogna lavorare prima sulla costruzione del consenso, quindi con la partecipazione attiva”.

“Inutile negare – afferma la Busia – che buona parte di quel terzo di candidate è il solo il risultato della necessità di rispettare un obbligo di legge. Ci sono stati partiti che hanno letteralmente ‘raccattato’ le donne, scegliendo perfino tra zie e suocere. Vien da sé che con un simile metodo non si può raggiungere il riequilibrio della politica. I riempitivi non sono percepiti dagli elettori, il consenso è un percorso. Io a questa elezione ci sono arrivati dopo quasi trent’anni di attività politica”.

La Zedda concorda: “Certo è che devono essere le stesse donne ad aprirsi alla partecipazione, proponendosi sin dalle più piccole istituzioni. Ma gli enti locali, parallelamente, devono migliorare e potenziare i servizi e le strutture a supporto delle mamme”.

Sul bilancio finale c’è l’unanimità. La Pinna parla di “rappresentazione falsata della politica, considerata non adatta alle donne”. La Zedda richiama l’equazione politica uguale roba per uomini: “Un approccio culturale – afferma – che non ha più ragione di esistere”. La Busia osserva: “Le donne pagano un doppio scotto: non solo non le votano le altre donne, ma nemmeno gli uomini. Alle amministrative, però, con l’introduzione della doppia preferenza di genere, seppure facoltativa, la rappresentanza femminile ha toccato punte del 35 per cento. Significa che ci sono i margini per ridisegnare l’assetto della politica”.

Quanto ai tempi per la correzione della nuova legge elettorale, non saranno brevi: “Appena entriamo in Aula – afferma la Pinna – l’obiettivo sarà aggredire le emergenze della Sardegna, a cominciare dalla disoccupazione. Rimetteremo mano alla norma tra qualche anno. L’introduzione della doppia preferenza di genere non ha ricadute immediate sulla vita dei cittadini che, adesso, sono la nostra priorità”.

Alessandra Carta

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