Ecco il testo integrale della lettera con la quale Valentina Sanna, presidente dell’Assemblea regionale sarda del Partito democratico, ha comunicato la sua decisione di uscire dal Pd.
Con qualche rara eccezione, in questi sessant’anni e più di sciupata Autonomia, la classe politica che si è alternata al governo della nostra regione ha amministrato l’enorme capitale di persone, culture e territorio in modo miope o, spesso, dissennato.
Una politica industriale pesante e a corto respiro, la svendita di larghe fette di paradiso ambientale destinate a servitù militari che costituiscono il 70% dell’intero presidio su suolo nazionale, hanno compromesso per sempre ecosistemi unici al mondo, senza neanche il lascito di un po’ di ricchezza condivisa con le multinazionali del petrolio o delle armi.
Dobbiamo essere onesti, se la politica ha fatto qualche passo sul fronte dei poligoni militari, è stato sulla spinta di un tenace comitato e di pezzi della società civile che, insieme alle inchieste di un giornalista cagliaritano, hanno convinto un risoluto magistrato ad aprire un processo che ha potuto individuare una parte di responsabilità, politica e militare, per i pesanti danni dell’inquinamento.
Il tema del ricambio della classe politica è cruciale e non più rinviabile. Ma non servono un semplice rinnovamento generazionale, o un congresso guidato dai soliti, intramontabili capicorrente. Serve una svolta culturale, un affrancamento dal potere del capo locale. È necessario sottrarsi al suo ricatto, e riconoscere che in nome dei vantaggi che ne possiamo ricevere (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti), accettiamo iniqui favoritismi e arbitrarie discriminazioni.
Quindi, o si cambia profondamente, o si muore.
Il presupposto per competere con un centrodestra regionale in ripresa è riconquistare l’attenzione e la fiducia di quelle persone che non ci votano più, rifugiandosi chi nell’astensione, chi nel voto di protesta.
Le primarie possono essere, se le lasciamo aperte alla partecipazione di tutti, una straordinaria occasione di rilancio, non solo per chi ne avrà in capo la leadership ma per tutto il centrosinistra.
A patto che si abbiano lungimiranza e coraggio nel proporre ai sardi persone e programmi credibili, che segnino una forte discontinuità con quella parte di classe dirigente che ancora oggi occupa, a vari livelli, le istituzioni, i consigli di amministrazione, gli enti regionali, le organizzazioni sindacali e, nonostante gli scandali e l’inopportunità di evidenti contiguità con i partiti, le fondazioni bancarie. Invece, tutto scorre, come se niente fosse.
La scuola e l’università dovrebbero essere le priorità di un qualunque soggetto politico che, nel segno dell’innovazione, si voglia candidare a costruire la Sardegna dei prossimi 30 anni. Diversamente, non ci sarà classe dirigente, formata e consapevole delle enormi sfide che ci attendono.
A questi temi decisivi, aggiungerei la difesa dell’ambiente e del territorio, con un progetto di sviluppo alternativo all’industria chimica e pesante che ha invece caratterizzato le politiche degli anni della Rinascita fino alla attuale devastante crisi; un progetto capace di riconvertire, dove si può, impianti obsoleti e abbandonati da società rapaci e ormai delocalizzate in paesi dove la manodopera a basso costo consente ampi margini di guadagno con il minimo investimento.
Serve un’idea di valorizzazione delle nostre risorse naturali che non siano la ricerca del metano a migliaia di metri di profondità del sottosuolo o la cessione di ampi territori alle multinazionali dell’eolico e del fotovoltaico, per di più senza che ci sia una significativa ricaduta sulla nostra economia. Piuttosto, serve credere e investire sul nostro potenziale nel settore dell’agricoltura; sulle nostre specialità, sulla cultura e sul turismo, nelle coste come nelle nostre splendide zone interne.
Stiamo invece assistendo, senza che ci sia stata una vera opposizione, alla svendita e alla mostruosa cementificazione che, in tutta la Sardegna e in modo particolare in Costa Smeralda, Cappellacci e il centrodestra stanno consentendo con i vari piani casa.
Purtroppo, la resistenza al cambiamento è connaturata all’essere umano. Nonostante milioni di anni di evoluzione ci dicano il contrario, continuiamo a pensare che la sopravvivenza nostra o del nostro gruppo, sia più importante del miglioramento di tutta la specie. A questa convinzione sacrifichiamo qualunque cosa, anche di fronte all’evidenza che non è più il bene comune ciò che stiamo perseguendo.
In fondo, è stato questo il male che ha colpito i partiti e, alla fine, la nostra società.
Le vicende che nelle ultime settimane hanno occupato le pagine dei giornali, il Parlamento e l’aula del Consiglio regionale parlano anche e soprattutto di questo.
Da noi, anche il passaggio vergognoso sulla legge elettorale approvata di recente con l’esclusione della doppia preferenza di genere ci restituisce il ritratto di una classe politica, per lo più maschilista e retrograda, arroccata su una montagna di insopportabili privilegi.
Si capisce che un’assemblea regionale che su 80 consiglieri conta sole 7 donne e che ha dovuto ridurre sensibilmente il numero dei seggi nel parlamento sardo, non tema di cancellare la rappresentanza di genere femminile; l’eliminazione del listino del Presidente renderà questa eventualità drammaticamente concreta.
Il rischio che venisse affossato l’emendamento esisteva, in tanti l’abbiamo denunciato e si è concretizzato. E quel voto segreto, anche su una questione come questa, è stato offensivo e vile.
Il Gruppo del Partito Democratico ha poi presentato una nuova proposta di legge con un solo articolo, proprio sulla doppia preferenza. Era una nuova occasione, la nostra battaglia di civiltà. Dicevano si sarebbe discussa nel giro di qualche giorno. Che fine ha fatto?
Come in altre occasioni, dalla Sardegna alla Penisola, assistiamo pressoché inermi a delle vuote enunciazioni. Sembra tutto finito nel nulla, soverchiato da altri problemi, affrontati solo per titoli e per distogliere l’attenzione dalle insufficienze di un Consiglio regionale ormai concentrato quasi esclusivamente sulle prossime elezioni.
Come Presidente del Pd sardo, vivo la contraddizione tra il sentimento calpestato del militante e la responsabilità del dirigente di partito. E l’equivoco, alimentato da chi pretende il silenzio di fronte a colpevoli mancanze, che io debba rappresentare chi governa e rovina il Pd piuttosto che i suoi elettori e la base.
Lascio questo Pd perché, pur con il rispetto verso le tante persone che ho cercato di rappresentare con dignità e onestà e verso le quali resta immutata la vicinanza, la stima e la disponibilità a un lavoro comune, non mi riconosco affatto in chi lo governa realmente a livello nazionale e regionale. Ma le energie che ho profuso in tutti questi anni nella speranza di poter incidere positivamente sul cambiamento, pur con i miei errori che certamente non sono mancati, non si esauriranno con la rinuncia al mio ruolo di rappresentanza.
Proseguirò, con rinnovata passione e determinazione, l’impegno politico. Solo, proverò a seguire una strada più coerente con il mio sentire.
Perché torniamo a dire, come Berlinguer: «Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati insieme…»
Valentina Sanna