Sono le 18,30 quando Giovanni Satta, il consigliere al centro delle polemiche per aver ottenuto il seggio in Consiglio regionale quando era in carcere, arriva in sala stampa e spiega le sue ragioni. Su tutto il motivo per cui non ha fatto un passo indietro rinunciando all’incarico da onorevole.
Abito scuro, camicia celestina, cravatta in tinta, l’ex sindaco di Buddusò dice: “Io sono un cittadino italiano. In Italia c’è una Costituzione che mi garantisce l’innocenza sino all’ultimo grado di giudizio. Ho dalla mia anche la legge Severino che è un po’ più restrittiva, ma i limiti che fissa mi riguardavano solo sino al 28 aprile (in caso di detenzione con l’accusa di associazione a delinquere, come nel caso di Satta, è prevista la sospensione)”.
Certo è che per la massima assemblea sarda non è una novità che un consigliere sia stato in carcere. A ottobre 2013, le porte di una cella si aprirono per i pidiellini Mario Diana e Carlo Sanjust. La storia è nota: le ragioni di quegli arresti erano legati a uno scandalo tutto interno alla stessa Aula, come la presunte spese pazze utilizzando i soldi dei fondi ai gruppi. In carcere, un mese più tardi, finì anche un altro ex berlusconiano, Sisinnio Piras.
La differenza rispetto a Satta è che Diana, Sanjust e Piras sono stati arrestati quando erano già onorevoli. L’ex sindaco di Buddusò, invece, è un neofita dell’Aula di via Roma. E forse per questo nei suoi confronti non è scattato quello spirito quasi cameratesco che venne dimostrato verso i tre pidiellini. Per il loro arresto non ci fu alcuna sollevazione. E in quei giorni nessuno aveva rilasciato nemmeno dichiarazioni.
Al. Car.
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