Reggio Emilia, 21 giu. (Adnkronos) – (EMBARGO AD OGNI DIFFUSIONE WEB ALLE ORE 21) (dall’inviata Ilaria Floris) “Las Vegas è tutto e il contrario di tutto. Mi sembrava fortissima come immagine in questo momento specifico dei nostri tempi: viviamo in una gigantesca Las Vegas”. Luciano Ligabue racconta così il suo quinto Campovolo poche ore prima di salire sul palco della Rcf Arena per ‘La Notte di Certe Notti’ che celebra non solo i 20 dal suo primo, epico Campovolo del 2005 ma anche i 30 dell’iconico brano ‘Certe Notti’. E Liga ha deciso di celebrarlo non trascurando nessuno dei temi sociopolitici più caldi, circondato da una ‘Ligastreet’ che appare una Las Vegas dove abbonda il divertimento ma anche le contraddizioni.
“Io ho avuto un sogno che si è formato nella mia adolescenza, che ho vissuto negli anni Settanta, in qualche modo ero convinto che il mondo si potesse cambiare, rendendolo un posto migliore – dice Ligabue- Più equo, più giusto. In quel momento operai, studenti e intellettuali andavano tutti nella stessa direzione. Oggi quello che vedo è l’esatto opposto di quel sogno”. Dall’emergenza clima alla guerra: “Oggi non si può non occuparsi del riscaldamento globale, così come non si può pensare in termini di riarmo e di guerra, come vediamo costantemente in questo periodo”. Una speranza “passa per forza attraverso il genere femminile”, spiega il rocker.
Sul palco con lui nella grande festa di Campovolo il figlio Lenny, che 20 anni fa aveva solo 7 anni ed oggi è il suo batterista. “Lenny è il mio batterista che era impossibile pensare di non averlo sul palco. Sto cercando di trasferirgli che vivere giornate come questa è un privilegio enorme, e abbiamo l’impegno di goderne. Chiaro però che se l’emozione ti sovrasta ti può creare qualche problema nella performance, sto cercando di rassicurarlo il più possibile”. Tutto, dal palco alla Ligastreet, parla del legame di Ligabue con le sue radici. “Ho 65 anni tutti vissuti qui e questa cosa per forza di cose è finita nel mio lavoro -sorride- Sono legatissimo alle mie radici, cosa che per esempio mia figlia non è, vive a Milano. Lenny invece mi assomiglia molto in questo”.
L’emozione è palpabile, nonostante per lui sia la quinta volta in questa location. “Non sono solo i 20 anni di Campovolo, sono i vent’anni dell’album da cui è scaturito Campovolo (‘Nome e Cognome’, del 2005, ndr). L’ho scritto in un momento personale molto forte, avevo da poco perso mio cugino che era un fratello, mi ero separato dalla moglie, avevo una nuova relazione ed era nata una figlia. Tutto questo è diventato ‘Nome e Cognome’. Chiamai il mio amico e attuale ex manager Claudio Majoli, che stasera ci sarà, e gli dissi ‘quest’album è talmente personale che io lo devo presentare qui’. Si presentò con la planimetria di Campovolo”.
Da lì, “c’era sempre più la sensazione di una festa, non bastava il concerto. Serviva qualcosa di più, e da lì è partita l’idea della ‘due giorni'”. Un’impalcatura messa su con la stretta collaborazione del fratello Marco, ad di Zoo Aperto, la società del rocker, fondatore del fanclub di Liga. E’ venuto fuori un posto magico. “Ci siamo resi conto che col pretesto della passione per il cantante, la gente si conosceva facilmente, sono nate amicizie, relazioni, famiglie – dice Ligabue- Da Campovolo sono nati figli, stimolati anche da me”. Nel 2011 “c’era la luna piena, era talmente eccezionale quello che vedevo che ho detto ‘ragazzi, se fate un figlio stasera, crescerà benissimo’”, ricorda.
Sul palco Ligabue non l’ha mai mandata a dire sulle crisi umanitarie e sulle emergenze cercando di essere concretamente utile, come nel caso di ‘Il mio nome è mai più’ scritto nel ’99 per beneficenza insieme a Jovanotti e Piero Pelù ma oggi, spiega, i tempi sono cambiati: “Con ‘Il mio nome è mai più’ abbiamo permesso a Emergency di costruire due ospedali, non so se adesso con lo streaming, i social, si riuscirebbe, all’epoca si vendevano ancora dischi -ammette- E poi all’epoca usciva un millesimo della musica che esce oggi, adesso una canzone dura una settimana, un mese le più fortunate. Quindi anche il segno che lascia è diverso”. E sul’ipotesi di un grande evento di beneficenza proprio a Campovolo, chiosa: “‘Italia loves Emilia fu pazzesco -scandisce- Gli artisti arrivarono con l’ego tenuto da parte. Quella sera, fu un’altra delle magie di Campovolo”.