Nella seconda metà dell’Ottocento la miniera di Monte Narba, a San Vito, era una piccola città. Ci lavoravano circa 900 operai, che esploravano chilometri di gallerie in cerca di argento e piombo. Il villaggio, costruito nel 1864 e dotato di telefono ed energia elettrica, contava le case per gli impiegati e per i dirigenti, un ospedale, la falegnameria e l’officina meccanica. Gli affari cominciarono a vacillare ai primi del ‘900, quando l’impoverimento dei filoni e le imprese concorrenti decretarono l’inizio del declino. L’ultimo atto fu la revoca della concessione, nel 1935.
Ottant’anni dopo, il villaggio sta scomparendo e la natura sta piano piano riprendendo ciò che cemento e mattoni le avevano sottratto 150 anni fa. Eppure, tra cumuli di pietrame e calcinacci, il sito riserva molte sorprese. Come un trattore semi sotterrato dalla terra, segno che dopo la chiusura del sito minerario, nel villaggio arrivò un’impresa agricola. O come gli affreschi al primo piano della palazzina degli uffici tecnici e di Villa Madama, occupata dal dirigente della miniera. La loro origine è molto curiosa.
“Durante la prima guerra mondiale Monte Narba ospitò un contingente di prigionieri austriaci: tra questi un maggiore, che presumibilmente nella vita civile faceva il pittore e che, mal sopportando la forzata inattività, affrescò con gusto le volte di Villa Madama e degli uffici tecnici”, raccontano Sandro Mezzolani e Andrea Simoncini nel volume ‘La miniera d’argento di Monte Narba, storia e ricordi’ (Gia editrice, Cagliari 1989). | La miniera di Monte Narba su Google maps