Sono 160 i lavoratori della Port.Al (ex Ila) di Portovesme che entro l’anno perderanno il diritto a qualunque tipo di ammortizzatore sociale. Una ventina di loro, per la verità, sono già usciti dalla lista dei “privilegiati” che usufruiscono dell’assegno di sostentamento da parte dello Stato. Andranno ad aggiungersi alle altre centinaia di persone che non hanno più niente con cui vivere. Privilegiati perché nella terra del Sulcis, nel sud della Sardegna, terra di miseria e disperazione, percepire anche un assegno di poche centinaia di euro ti mette un gradino al di sopra della miseria totale. Non avere neppure quello significa “fame”. Quella vera.
Eppure tutti questi lavoratori fino al 2008 avevano un lavoro in una delle poche fabbriche italiane che produceva il foglio sottile di alluminio “doppia-forza”, quello usato in cucina – e non solo – da milioni di italiani. Oggi c’è un imprenditore sardo, per l’esattezza di Iglesias, che quella fabbrica vorrebbe farla resuscitare. Purtroppo però la solita e immortale burocrazia ci mette del suo, ma non per agevolare. Tutt’altro. Antonio Deriu, noto Ninetto, quasi fa fatica a raccontare le difficoltà che sta incontrando, tutte legate, manco a dirlo, al costo dell’energia, salato più del 50 per cento rispetto al resto d’Italia. Titolare della Re.No. srl si occupa di manutenzioni da oltre 40 anni a Portovesme ma non solo.
“Ho rilevato la fabbrica nel 2012 dalla procedura fallimentare della Otefal.Sail spa e con essa tutto il personale in forza, pagando circa 3 milioni di euro di tasca mia, senza un centesimo di contributi pubblici, racconta Deriu. Oggi quel costo iniziale è lievitato fino a circa 9 milioni e ogni anno che passa costa alla mia società 600 mila euro per la gestione del personale che non può lavorare. Gli accordi con la Regione, guidata da Ugo Cappellacci, continua l’imprenditore, prevedevano che per abbattere i costi dell’energia mi veniva concessa l’installazione di 3 generatori eolici, una scelta “verde”, come quelli che a decine l’Enel ha installato a ridosso delle fabbriche di Portovesme. Ho sopportato i costi, diverse centinaia di migliaia di euro per le procedure di fattibilità, per sentirmi poi dire che le pale eoliche non potevano essere installate. Veramente assurdo. Ora – aggiunge ancora Deriu – in alternativa alle pale eoliche stiamo percorrendo la strada del contratto bilaterale con l’Enel in un percorso che vede impegnati sia la Regione sarda che il Ministero dello Sviluppo Economico. Ma sono ancora in attesa di un incontro. Ma il tempo stringe. Le nostre possibilità non sono infinite. Credo fermamente in questo progetto, produzioni industriali a bassissimo impatto ambientale e alto contenuto tecnologico, e nel suo rilancio, anche con profonde innovazioni tecniche che ci vedono impegnati sul fronte della nautica da diporto, con importanti ricadute occupazionali. Ma soprattutto credo in questo territorio, in questi lavoratori e nelle loro professionalità. E parliamo di circa 200 buste paga che oggi chiedono il riscatto di una vita. Questo il motivo per cui non ho fatto la stessa scelta, forse perfino più semplice, di molti altri miei colleghi imprenditori di delocalizzare le mie attività. Ma i rappresentanti politici, conclude Deriu, devono fare la loro parte. Presto”.
Carlo Martinelli