Rapporto Crenos, Paci: “Altro che l’Isola dei centenari: due sardi su 10 non si curano più”

Il bicchiere della Sardegna è ormai vuoto. Così emerge dal Rapporto Crenos, la fotografia sulla nostra Isola che come ogni anno viene scattata dal Centro di ricerche economiche diretto da Anna Maria Pinna. Questa del 2023 è l’edizione numero 30, il cui relatore scientifico è Raffaele Paci, l’ex assessore alla Programmazione e al Bilancio che all’Università di Cagliari è titolare della cattedra di Economia applicata.

È proprio Paci, nella sua relazione introduttiva, a introdurre il concetto di “bicchiere ormai vuoto” per sintetizzare le oltre duecento pagine di “indagine dettagliata e rigorosa” in cui vengono messi sotto la lente gli indicatori dell’Isola: da quelli economici ai demografici per capire come si colloca l’Isola in termini di crescita, sviluppo e prospettive. Paci dice pure che “le ombre incombono”. Quindi una riflessione di respiro: “Ci dobbiamo quindi arrendere a rimanere tra i fanalini di coda dell’Europa, a “sopravvivere” in condizioni di ritardo di sviluppo e sempre più dipendenti dall’assistenza di un settore pubblico inefficiente? Certamente no. Ma per rompere il circolo vizioso è fondamentale che tutta la comunità sarda, dalle classi dirigenti ai semplici cittadini, siano pienamente consapevoli della criticità del momento, delle proprie responsabilità e dell’urgenza di cambiare radicalmente rotta. Per aprire nuove speranze per il futuro, è necessario individuare con chiarezza un progetto duraturo di profondo e condiviso rinnovamento della Sardegna basato su alcuni pilastri fondamentali: istruzione, innovazione tecnologica, ambiente, equità, qualità istituzionale, identità ed autonomia”.

Il Rapporto Crenos 2023 non può che diventare la bussola per la campagna elettorale delle Regionali 2024, a patto che i partiti abbiamo davvero voglia di costruire un progetto per la Sardegna, anche se al momento questo interesse per le sorti dell’Isola non sembra interessare né la Giunta di Christian Solinas né il centrosinistra e gli M5s che sono ancora lontani dall’avviare una trattativa per cominciare a definire uno straccio di programma per raddrizzare la direzione dell’economia.

Gran parte dei dati analizzati riguardano gli anni a cavallo con il Covid e tutto ciò che ne è conseguito, lockdown incluso. Dice Paci: “Dopo il crollo del 2020 dovuto allo shock pandemico (tasso di variazione del Pil pro capite in volume pari a -9,6% in Sardegna, -8,5% in Italia), il 2021 ha fatto registrare l’atteso rimbalzo : +7,2% nell’Isola, +7,3 di media nazionale. Per il 2022 – ha spiegato l’ex assessore – è disponibile il solo dato nazionale che mostra una crescita del 4% per il Pil pro capite. Infine, le previsioni più recenti del Fondo monetario internazionale (Fmi) mostrano un incremento di 0,7% nel 2023 e 0,8% nel 2024. L’Italia, dopo l’altalena del 2020-2022, torna dunque ai tassi di crescita molto ridotti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni”.

È in questo contesto che va inquadrato il dato sardo, come spiega lo stesso professore. Con una domanda: “Cosa può fare una piccola economia regionale come la Sardegna che conta meno del 2% del prodotto nazionale? Ben poco. Non ci stupisce quindi vedere che l’Isola in vent’anni ha perso molte posizioni in Europa, con un Pil pro capite che passa da 83% a 70% della media Ue27. Anzi, se guardiamo gli andamenti interni all’Italia, registriamo che in questi quattro lustri la Sardegna ha fatto meno peggio di altre regioni del Mezzogiorno, crescendo
così dal 70% al 73% rispetto alla media dell’Italia”. Ancora dalla relazione di Paci: “Il nodo principale è che l’economia della Sardegna è molto piccola, fortemente dipendente dall’intervento pubblico e legata a filo doppio all’andamento dell’economia nazionale. Quindi, se la locomotiva Italia procede a passo di lumaca, non possiamo certo aspettarci che la nostra Isola abbia una performance economica soddisfacente. Anche la Sardegna procede come una lumaca ed anzi, in seguito alle ripetute crisi economiche, inizia a muoversi come un gambero”.

Il primo dato allarmante riguarda il fatto che “in Sardegna quasi la metà del totale degli investimenti sia di origine pubblica, mentre la media italiana è di circa un quarto – prosegue Paci -. Questo ingente ammontare di risorse pubbliche per investimenti è destinato ad aumentare ulteriormente con l’arrivo dei fondi del Pnrr. Pertanto, la bassa efficacia degli investimenti realizzati dalle amministrazioni locali del Mezzogiorno, compresa la Sardegna, insieme alla loro scarsa qualità istituzionale, suscitano forti dubbi sulle concrete possibilità che il Piano nazionale di ripresa e resilienza riesca ad incidere sullo storico divario tra nord e sud del Paese”. Ancora: “La struttura produttiva della Sardegna è debole, con una preponderante presenza di microimprese ed una composizione settoriale che vede la prevalenza di aziende nei settori a più bassa produttività e ridotta capacità di esportazione, fatta eccezione per il settore dei prodotti petroliferi e della chimica”, ma come sappiamo si tratta di colossi industriali non sardi.

Paci c’è un elemento ancora più drammatico che accompagna gli indicatori economici ed è rilevato nel Rapporto Crenos 2023. Riguarda “la situazione demografica e le sue conseguenze – spiega il professore -. Il numero di residenti continua a ridursi da un decennio come conseguenza dell’effetto negativo del saldo naturale e del saldo migratorio. Il tasso di natalità nell’Isola è il più basso tra le regioni dell’Italia che, a sua volta, è il Paese con la natalità più bassa in Europa. Questa riduzione della popolazione investe tutta la Sardegna, ma diventa ancora più drammatica nelle zone rurali dell’interno, dove alle ridotte opportunità di lavoro si aggiunge spesso la mancanza di servizi essenziali”.

A questa dinamica negativa delle nascite, “si aggiunge il forte aumento del tasso di mortalità, anche rispetto alle altre aree. Questo fenomeno si spiega solo in parte con il Covid e il progressivo invecchiamento della popolazione. Il peggioramento delle condizioni di sopravvivenza in quella che è (era?) “l’Isola dei centenari” vanno ricercate nella perdita di capacità di intervento del Servizio sanitario regionale (Ssr), soprattutto per le patologie croniche e i servizi di emergenza. In Sardegna quasi due cittadini su dieci nel 2021 hanno rinunciato ad una prestazione sanitaria, pur avendone bisogno, perché costava troppo e non potevano pagarla o perché la lista d’attesa era troppo lunga“. Ancora: l’Ssn “mostra un peggioramento in termini di efficacia nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”, quei Lea che devono garantire un minimo di cure a tutti i cittadini. anche a quelli senza reddito. Questo come diritto costituzionalmente garantito.

Quanto all’occupazione, questo è il quadro. “Il Rapporto Crenos mostra che negli ultimi cinque anni la popolazione attiva si è ridotta di 38mila unità e gli occupati di oltre 7mila. Pertanto, il dato, di per sé positivo, della riduzione dei disoccupati di 31mila unità deve essere interpretato come conseguenza della riduzione della popolazione in età lavorativa e dello “scoraggiamento” per cui molte persone non cercano più attivamente un posto di lavoro (e quindi non figurano tra i disoccupati) o emigrano – spiega Paci -. Uno dei temi che la politica regionale deve dunque affrontare è quello di facilitare l’occupazione non solo dei 73mila disoccupati “ufficiali” ma anche degli oltre 100mila occupati potenziali. C’è bisogno di politiche attive per il lavoro che aiutino a migliorare la qualità dell’offerta (istruzione e formazione) e che incentivino la domanda delle imprese, in particolare verso contratti di lavoro stabili, gli unici che danno prospettive di costruzione del proprio futuro ai giovani”.

La Sardegna, ma più in generale l’Italia, risulta molto indietro “in tutti gli indicatori relativi all’istruzione, che è poi il fattore fondamentale per lo sviluppo. La percentuale di giovani laureati (22%) è molto inferiore rispetto alla media europea (41%) e la presenza di scienziati ed ingegneri nella forza lavoro è bassa. La percentuale di giovani che abbandonano precocemente
gli studi (13,2%) è più alta della media europea (9,7%), seppure mostri un netto calo negli ultimi cinque anni – sottolinea ancora l’ex assessore -. E notizie allarmanti arrivano anche dai giovani non inseriti in un percorso scolastico, formativo o lavorativo (i cosiddetti Neet) che in Sardegna raggiungono la percentuale allarmante del 18,9% ponendo l’Isola tra le regioni peggiori in Europa”.

Una nota positiva arriva invece dal turismo che vive in qualche modo di autosussistenza, avendo la Sardegna uno dei mari più belli del mondo. Il settore delle vacanze, infatti, “si è ben ripreso dopo il crollo del biennio 2020-21 dovuto alla pandemia. Nel 2022 si è quasi tornati ai numeri record del 2019 e le previsioni per il 2023 sono incoraggianti – dice Paci -. Per incrementare ulteriormente l’impatto del turismo sul prodotto regionale, ma garantendo la sostenibilità sociale e ambientale, bisogna potenziare ulteriormente le politiche di destagionalizzazione, intraprese con successo nell’ultimo decennio. Ciò significa, rafforzare l’offerta in favore di tematismi meno legati al prodotto “sea&sun” di luglio e agosto puntando quindi su identità, cultura, archeologia, ambiente, sport, enogastronomia, esperienze ed anche incentivando l’arrivo di turisti stranieri solitamente più interessati a mesi con un afflusso turistico più ridotto”.

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