Un Pil al 70 per cento della media europea, un sistema di microimprese che non favorisce l’accumulazione di
capitale più scarsi investimenti in risorse umane e innovazione tecnologica, evoluzione demografica negativa, insularità, spopolamento e bassa densità abitativa. Un mixi micidiale che rallentano lo sviluppo. È questa la fotografia della Sardegna, una delle più povere d’Europa, a cui va aggiunta la crisi pandemica, con un impatto che per lo scenario più severo rischia dopo il lockdown di portare una riduzione della domanda esterna del 13.1 per cento e una riduzione della domanda turistica del 50, con una flessione del Pil stimata nell‘11,9 per cento.
Oggi se n’è parlato nel seminario con gli economisti delle Università di Sassari e Cagliari e attori istituzionali,
economici e sociali dell’isola, organizzato dal Centro di ricerche Crenos con la Fondazione di Sardegna per presentare il rapporto ‘Le prospettive dell’economia in Sardegna dopo la pandemia’. I lavori li ha aperti la direttrice del Crenos, Emanuela Marrocu, e il Dg della Fondazione, Carlo Mannoni. Gli interventi sono stati moderati dall’ex assessore alla Programmazione e ordinario all’università di Cagliari, Raffaele Paci. Sono intervenute Bianca Biagi e Barbara Dettori, rispettivamente dell’ateneo di Sassari e di quello del capoluogo, che hanno lavorato al rapporto. Hanno partecipato anche i docenti Giacomo Del Chiappa, Mariano Porcu e Mario Macis, rispettivamente di Sassari, Cagliari e della John Hopkins university.
“Serve un cambiamento epocale, fondato su capitale umano, sociale e ambientale e qualità delle istituzioni”, dicono i tecnici. “Il forte shock di offerta di breve periodo non produca un duraturo shock di domanda”, auspicano. “Ci si accolli la riduzione dei redditi e si garantisca occupazione per non innescare una spirale recessiva duratura”, chiedono mentre evocano stili di vita coerenti con sostenibilità ambientale e salvaguardia della salute, trasformando in opportunità elementi negativi come l’insularità. L’ultimo appello del Centro di ricerche economiche Nord Sud è per tutti, perché “la crisi si supera condividendo visione strategica, competenze, innovazione e coesione”.
Questo il commento dell’assessora al Lavoro, Alessandra Zedda. “Le nostre istituzioni non sono all’altezza delle necessità, dei bisogni e delle richieste dei nostri cittadini”, è il mea culpa dell’esponente della Giunta. “Confrontiamoci, serve dialogare e non sprecare questa occasione”, ha chiesto il segretario regionale della Cgil, Michele Carrus. “Spesso ci sono le idee e non le risorse, stavolta ci sono le risorse e dobbiamo cogliere questa grande opportunità”, ha auspicato il presidente di Abi Sardegna, Giuseppe Cuccurese. “Stiamo parlando di risorse che saranno messe a disposizione, ma il fattore tempo è fondamentale e non si sa quando atterreranno nella vita concreta”, ha sottolineato il presidente di Confindustria Sardegna, Maurizio De Pascale.
“Questi mesi di crisi sanitaria ci ricordano la centralità del lavoro e del capitale umano, di servizi pubblici assicurati a tutti, dalla sanità ai trasporti sino all’istruzione, speriamo che niente torni come era prima e questa esperienza serve per modificare quei nodi strategici fondamentali”, ha detto Romina Mura, deputata del Pd. “Non c’è un problema di risorse, ma di capacità tecnica e politica di investire per toccare i nervi scoperti del sistema economico, individuando un modello strategico che ci consenta di utilizzare il Covid 19 come l’opportunità”, ha rilanciato il presidente dell’Anci isolana, Emiliano Deiana.