L’export sardo resta stabile, allarme di Cna: “I dazi mettono a rischio il settore agroalimentare”

In uno scenario internazionale segnato da crescenti tensioni geopolitiche, i dati provvisori sull’export della Sardegna nel 2024 mostrano a prima vista una sostanziale stagnazione. Secondo le più recenti rilevazioni Istat, alla fine dell’anno il valore complessivo delle esportazioni è cresciuto appena dello 0,8%, passando da 6,69 a 6,74 miliardi di euro: un incremento modesto di 52 milioni. Tuttavia, questo risultato complessivo è fortemente influenzato dal brusco rallentamento registrato nell’ultimo trimestre: tra ottobre e dicembre, rispetto allo stesso periodo del 2023, le esportazioni sono crollate del -22,8%, cancellando di fatto i progressi dei primi nove mesi dell’anno. Se però si esclude il settore dei prodotti petroliferi raffinati – che da solo rappresenta oltre l’80% dell’export isolano – il quadro cambia radicalmente: le vendite all’estero delle altre produzioni sono cresciute di oltre il 25%, pari a circa 296 milioni di euro in più rispetto al 2023; un risultato trainato soprattutto dal comparto manifatturiero, che ha segnato un +34,4% al netto del petrolifero.

È quanto si evince da un dossier del Centro Studi della Cna Sardegna che lancia un nuovo allarme per le esportazioni agroalimentari sarde, messe a rischio dalla guerra tariffaria annunciata dal presidente Usa Donald Trump.

Nel 2024 il mercato Usa ha infatti assorbito oltre il 51% delle vendite di prodotti agroalimentari sardi e la ancora scarsa diversificazione dei mercati di sbocco potrebbe penalizzare non poco le imprese sarde. La ricerca individua a questo proposito un gruppo di mercati maturi con domanda crescente e quote significative di vendite per parmigiano e grana-padano che potrebbe interessare i produttori sardi (Spagna, Canada, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Svezia e Australia) e un gruppo di mercati emergenti in forte crescita (Polonia, Corea del Sud, Emirati Arabi, Romania, Irlanda, Messico, Portogallo e Arabia Saudita).

“Una necessaria strategia di diversificazione, per essere vincente, dovrebbe passare da un mix di attività di promozione e valorizzazione che coinvolgano sia paesi emergenti, sia paesi più maturi” – commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna –. L’obiettivo è quello di arrivare, nel medio-breve termine, a una diversificazione che replichi il modello di vendite di altri formaggi stagionati di grande successo, come il parmigiano o la grana padano, in modo da ridurre l’esposizione verso i rischi, attesi crescenti, dovuti all’incertezza geopolitica internazionale”.

Tra i principali motori dell’export manifatturiero sardo si conferma dunque l’agroalimentare, che – secondo lo studio -, nel 2024 ha registrato un aumento dell’11%, consolidando un trend positivo in corso da ormai sei anni. All’interno del comparto, tuttavia, si osservano dinamiche differenziate: il settore caseario, storicamente dominante, ha mostrato un marcato rallentamento, passando da una crescita del 9,4% nel 2023 a un modesto +1,4%.

Al contrario, si rafforzano alcune produzioni emergenti: vini e bevande crescono del 9,2%, pasta e prodotti da forno del 4,2%, mentre il comparto oleario segna un vero e proprio balzo in avanti, con un incremento annuo del 58% che ha portato le vendite estere a superare per la prima volta i 10 milioni di euro, un risultato che consolida la crescente visibilità internazionale dell’olio sardo, pur in un contesto di volumi ancora contenuti. Nel resto del settore manifatturiero, si segnalano dinamiche molto positive: il chimico-farmaceutico rimbalza con un +42%, tornando quasi ai livelli del 2022; la lavorazione di metalli cresce del 62%, seguita da macchinari e apparecchiature (+65,5%) e dal tessile (+21%). Di segno opposto, invece, l’andamento dei prodotti in legno, carta e stampa (-8,3%) e dei minerali non metalliferi (-20,8%).

La guerra tariffaria minacciata dagli Stati Uniti rischia di avere un impatto molto negativo sugli scambi commerciali internazionali e – evidenzia la Cna – la Sardegna è una delle regioni italiane più esposte. Se si considera l’export di prodotti manifatturieri al netto del settore petrolifero, l’Isola è infatti la sesta regione italiana per esposizione verso gli USA, con oltre il 14% del fatturato estero. Ma non tutti i settori sono esposti in egual misura. Limitandosi ai tre comparti manifatturieri più rilevanti, l’esposizione verso il mercato americano riguarda quasi esclusivamente il settore agroalimentare; gli Stati Uniti rappresentano, infatti, appena il 2% delle vendite estere di prodotti chimici, e non arrivano all’1% nel caso dei prodotti in metallo. Nel caso dell’agroalimentare, invece, si arriva al 51% (dato del 2024); anche all’interno di questo settore, il grado di dipendenza è molto variabile. Il caso più emblematico è quello dei prodotti caseari, per cui il mercato statunitense rappresenta oltre il 72% delle esportazioni; seguono, con quote comunque elevate, vino (31%), olio (27%) e pasta (21%). Il rischio, quindi, si concentra soprattutto su formaggi e derivati del latte. Si tratta di un comparto la cui filiera rappresenta uno dei motori dell’economia isolana e fiore all’occhiello dell’agroalimentare regionale. Il settore ha però conquistato il suo successo sfruttando al massimo la domanda crescente proveniente dagli USA, e per questo oggi rischia di vedere ridimensionato il suo fatturato estero per via del possibile inasprirsi dei rapporti commerciali con Washington.

La ricerca della Cna Sardegna si interroga su quali possano essere, nel medio termine, i mercati esteri più promettenti per diversificare e rafforzare la resilienza del settore caseario sardo. Sono stati individuati due gruppi di paesi potenzialmente interessanti per ampliare le vendite del formaggio sardo. Il primo è costituito da mercati maturi, già ben presidiati da parmigiano e grana padano e con una domanda in costante crescita di formaggi stagionati: Spagna, Canada, Paesi Bassi, Belgio, Austria, Svezia e Australia. Il secondo gruppo comprende mercati emergenti in cui le esportazioni di pecorino sono già in forte aumento: Polonia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Romania, Irlanda, Messico, Portogallo e Arabia Saudita.

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