L’economia sarda funestata dal Covid: “Sono stati persi tre anni di progressi”

Rischia di lasciare strascichi pesanti l’impatto che la pandemia del Covid-19 ha avuto sull’Isola, una delle regioni maggiormente penalizzate a livello nazionale. A fotografare la situazione è il 28esimo Rapporto sull’economia della Sardegna, elaborato dal Crenos, in cui emergono le criticità dovute soprattutto alla voragine di posti di lavoro e la crisi che alcuni settori hanno attraversato per diverso tempo. Dopo un periodo in cui sembrava ci fosse un miglioramento del Pil che, nel 2019, è arrivato a più 1,4 per cento, il coronavirus ha sparigliato le carte e aperto una ferita che, secondo quanto riportato nel documento “ha cancellato tre anni di progressi“. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, hanno subìto un pesante arresto sia il tasso di partecipazione sia quello di occupazione: nel primo caso sono stati persi tre punti rispetto al 2019, nel secondo caso il calo è stato di quasi due punti. Tradotto in numeri significa che la Sardegna perde nel complesso ventisettemila occupati e 43mila forze lavoro, dati che collocano la regione tra quelle in cui la crisi pandemica ha avuto gli effetti peggiori sul mercato del lavoro.

C’è da sottolineare che la particolare struttura occupazionale dell’Isola genera questo tipo di frattura visto che, nel 2019, quasi un lavoratore su quattro era occupato nel settore del commercio o della ristorazione, contesti in cui le chiusure e le limitazioni hanno penalizzato fortemente le attività e che ha perso quasi il 7 per cento della forza lavoro. A soffrire particolarmente questa situazione di crisi sono le donne che rappresentano oltre la metà di coloro che sono uscite dal mercato del lavoro. Anche il tasso di occupazione femminile subisce una diminuzione maggiore rispetto a quello maschile con il 5,6 per cento in meno rispetto al 3,4 per cento e a patire di più sono le lavoratrici che hanno un titolo di studio inferiore alla laurea. Segnali negativi anche per i lavoratori e le lavoratrici che non possono contare su una posizione contrattuale solida: infatti, la quasi totalità della riduzione occupazionale riguarda persone che avevano un contratto a tempo determinato con la conseguenza che in questo contesto si è registrato un calo che supera le centomila unità.

Ci sono alcuni settori, però, che regalano qualche segnale di miglioramento e si tratta dell’agricoltura in cui si registra una crescita del 2,7 per cento degli occupati e delle costruzioni che hanno avuto un aumento del 19 per cento. Non deve illudere, però, la riduzione del tasso di disoccupazione che dal 14,7 per cento passa al 13,3 nell’ultimo anno perché è da inquadrare come la riduzione della partecipazione al mercato del lavoro e un aumento di 39mila unità del numero dei cosiddetti ‘inattivi’ che non hanno un impiego e hanno rinunciato a cercarlo.

Il documento elabora anche delle strategie per riuscire a recuperare il divario con le aree più sviluppate. Si tratta di migliorare la capacità di formare e soprattutto attrarre capitale umano, con elevate abilità nelle tecnologie digitali, nella valutazione di investimenti e nella redazione e gestione di progetti; la capacità di diffondere e promuovere l’adozione di tecnologie a risparmio di risorse, tra cui quelle energetiche; la piena consapevolezza del valore dell’ambiente naturale che fornisce servizi a tutte le attività economiche e pertanto non può essere consumato.

“Il Crenos è un esempio virtuoso di collaborazione tra gli atenei di Cagliari e Sassari – ha evidenziato Francesco Mola, Rettore dell’Ateneo cagliaritano -. È un momento difficile, non di crisi classica: ho molto apprezzato l’equilibrio che traspare nel Rapporto di quest’anno. Se lavoriamo come solisti, le stecche le sentiranno le nuove generazioni. Fare la nostra parte significa anche fare autocritica, rispetto al passato: qualche errore è stato fatto. Il Rapporto  ci dice dove dobbiamo spingere: sta a noi gestire le opportunità che avremo”. Gavino Mariotti, Rettore dell’Università di Sassari, ha aggiunto che “occorre collocare le università all’interno dei processi di progettazione per lo sviluppo del territorio. L’auspicio che faccio è quello di fare un passo in avanti per portare i nostri atenei nelle istituzioni, provare a fornire delle soluzioni e promuovere idee di sviluppo”.

Matteo Sau

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